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di Gianluca Solinas – I numeri sono impietosi, oltre il 53% non ha votato.


Peracchini: 59,98% Manfredini: 40,02%; 20.636 voti per Peracchini, 13.771 per Manfredini.
35.306 votanti su 75.918: 46,51% il dato finale dell’affluenza (più del 53% non ha votato)
Nulle 1,8%, bianche 0.73
Questi i numeri. Freddi, imparziali, definitivi. Sono i numeri che oltre a evidenziare una sconfitta cocente per il centrosinistra capitanato da Paolo Manfredini ed ovviamente ad attribuire una grande vittoria a Pierluigi Peracchini, sollevano la questione della scarsa partecipazione al voto. 20.636 persone hanno deciso il governo di una città a fronte di una platea teorica di aventi diritto di 75.918. C’è chi dice che è fisiologico, che al ballottaggio funziona cosi.
Fosse così semplice non ci sarebbe da preoccuparsi, invece i dati determinano un allontanamento dalla politica che non trova paragoni nella storia repubblicana, (che sia la prima o la seconda o chissà quale repubblica), un allontanamento che sa di fuga, una fuga da una realtà che non convince, che non piace, che non appassiona più.

Che il dato nazionale confermi le tendenze locali non toglie responsabilità a nessuno. E le responsabilità ci sono.
C’è chi continua a tapparsi occhi orecchie e bocca, come le tre scimmiette, facendo finta che dopotutto sia normale in questi tempi che le persone evitino il voto. C’è chi approfitta della situazione facendo finta che essere eletto ad esempio con il 60% delle preferenze su una platea di votanti che non raggiunge nemmeno il 50% sia uguale ad essere eletto con una partecipazione vicina all’80%, ma tanto è la democrazia baby … che ci vuoi fare?
In effetti è la democrazia, da sempre, specialmente in altri continenti, altre realtà, non qui, non in Italia, paese da sempre affezionato al voto, paese che partecipa, paese che oggi come oggi pare aver perso quel minimo di fiducia che anche le crisi più nere della storia parevano non aver mai intaccato più di tanto.

Oggi nemmeno la metà degli italiani va a votare. Oggi nemmeno un terzo degli italiani sceglie per tutti. Oggi nemmeno la metà degli italiani si sente responsabile per questo o quel cambiamento. La sensazione di un qualunquismo dilagante, di una disaffezione totale nei riguardi di una classe politica e dirigente palesemente inadeguata, va di pari passo con l’avanzata dei mediocri, dove basta twittare con sufficiente frequenza per raccogliere consensi virtuali, salvo poi accorgersi che la rete non è la cabina elettorale, che la realtà di ogni giorno si è allontanata dalla percezione singola, quella che ci tocca ogni istante, quella che ci riempie di sconforto.
Basta osservare cosa si dice in campagna elettorale: una pletora di annunci slegati, palesemente non coordinati, risultato di una superficialità dilagante che consente di buttare qualche slogan sui social e fermarsi li, senza un minimo segnale di approfondimento, senza nemmeno dare l’idea di un impegno costruttivo legato a programmi in divenire ma già presenti, già in grado di offrire una visione chiara del futuro che si vuole perseguire.
Dal punto di vista della comunicazione sembra un dialogo ad alta voce fra sordi. Di ascolto nemmeno l’ombra se non a favore di telecamera.

Anche la coerenza, un tempo cavallo di battaglia di politici di razza, pare piegarsi come un giunco di fronte alla platea ondivaga degli elettori, rincorsi come fossero clienti da soddisfare, da accontentare a seconda degli umori del momento. Questo comporta un abbandono delle passioni politiche, passioni che saranno anche passate di moda tanto quanto le ideologie ma che favoriscono l’emergere di una superficialità politica che non ha precedenti. Oggi si giustifica tutto, si può tutto, ci si posiziona saltando di palo in frasca sicuri che tanto le critiche resteranno in rete, dove si scatena la faida, dove si può dire tutto protetti e incolpevoli, dove finisce la fantasia che un tempo si invocava al potere.

Resta il fatto che tanti restano chiusi in casa, come nella giornata di ieri, una giornata buona per il divano perché le nuvole basse favorivano la pennichella piuttosto che una gita al mare, figuriamoci al seggio.
Ora è tempo di mea culpa da parte dei perdenti e di pacche sulle spalle da parte dei vincenti. Domani ci sarà da governare una città, un paese, un continente, il mondo. Speriamo almeno che si riesca in città, al paese all’Europa e al mondo ci penseremo dopo, fra un selfie e l’altro.

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