Il Concerto del 16 novembre scorso ha visto il debutto ufficiale dell'Orchestra da Camera della Spezia, nata da un progetto giovanile territoriale di un gruppo di giovani musicisti formatisi nel Conservatorio spezzino, che si è presentata, per l'occasione, come Ensemble di strumenti a fiato formato da Alessandro Benedetto, Elisa Paganini (clarinetti), Beatrice Moretti, Giovanni Colliva (corni di bassetto), Elia Venturini, Davide De Ferrari, Nicola Bartolini, Giacomo Giromella, (corni), Tommaso Guidi, Fulvio Beronio (oboi), Marta Magnanini (flauto), Edoardo Filippi, Monica Zeppeda, (fagotti) e la contrabbassista Sofia Bianchi.
L'ensemble, guidato dalla bacchetta di Pasquale Valerio (foto), appassionato direttore d'orchestra attivo in Florida (USA) ma napoletano d'origine, ha eseguito la "Petite Symphonie" di Gounod e quel capolavoro che è la Serenata "Gran Partita" di Mozart. Questo brano, composto dal genio austriaco nel 1781, è una piacevole musica d'intrattenimento con una spiccata vena ironica e bizzarra, ben bilanciata da un diffuso lirismo e alcune atmosfere e armonie che anticipano il Don Giovanni e Così fan tutte.
Un pubblico attento ha applaudito calorosamente e meritamente direttore e i giovani esecutori.
Il prossimo Concerto, previsto per venerdi 23 novembre, sempre alle ore 18, avrà come protagonista Paolo Valcepina, Pianista valtellinese diplomato cum laude presso il Conservatorio di Milano.
Il "Sogno e l'Ebbrezza" di nietzschiana memoria sono la fonte da cui sgorga il récital di Valcepina.
Un viaggio attraverso la notte e il giorno, la quiete e il dramma, la contemplazione e l'azione o, in termini prettamente musicali, la forma del notturno e la forma improvvisativa della toccata.
Questo viaggio, partendo dal dionisiaco assoluto della Toccata dell'armeno Chačaturjan, ci conduce attraverso il meditativo preludio di Bach che evoca la sonorità onirica dell'arcaico liuto, ci propone la poliritmia e la politonalità del dittico contemporaneo di Carlotta Ferrari, ispirato ad una esotica melodia yemenita, e conclude la prima parte con la celeberrima sonata «Chiaro di luna» di Beethoven: sintesi tragica, notturna e vertiginosa al tempo stesso, delle due essenze dell'apollineo e del dionisiaco.
La seconda parte del concerto apre con la toccata di Paradisi, sorta di inquietante perpetuum mobile settecentesco, per poi tornare all'ombra del sogno con l'evocativo Chopin, passare attraverso il furioso e percussivo Allegro Barbaro di Béla Bartók, evocare quieti mondi sotterranei con la trascrizione pianistica che Giovanni Sgambati fece della Danza degli Spiriti Beati, elegiaco momento tratto dall'Orfeo di Gluck, e concludere con il ritmo sincopato di un celebre ragtime di Scott Joplin, nel quale la musica da ballo viene gioiosamente e molto dionisiacamente ridotta a brandelli; questo ragtime è un piccolo gioiello musicale del ventesimo secolo, un brano senza magniloquenti pretese ma che nella sua immediatezza fa notare come la furia dell'Ebbrezza e il sorriso gentile del Sogno possano in fondo convivere: e si ha l'impressione che sia proprio questo un possibile senso della vita.