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Villa Marigola, i vetri Art Nouveau nel salotto liberty

A Villa Marigola, nel cosiddetto salotto liberty, nell'ala occidentale della villa fortemente modificata a seguito degli interventi operati da Franco Oliva nel 1926 su commissione di Giovanni Battista Bibolini, sono conservati alcuni vasi in vetro riferibili alla produzione francese e europea tra la fine del XIX secolo e l'avvento del successivo.

Conservati in una vetrina di perfette misura e sintonia con gli oggetti lì esposti i vetri sono giunti alla collocazione attuale per acquisto in due momenti distinti, nel 1982 e poi nel 1984, in entrambi i casi derivati dalla medesima collezione.  Raffinato campionario di forme e tecniche vetrarie, sia pur di misura contenuta per numero di elementi, il nucleo di oggetti di Marigola offre l'occasione per valutare questa seducente espressione d'arte, che in Francia, e da qui in Europa e oltre, trova rinnovato vigore quando, nella seconda metà dell'Ottocento, Emile Gallé intraprende un percorso di ricerca tutto nuovo, nuovo per repertorio figurativo e abilità produttiva.[...] Gallé riesce a coniugare l'attività di meticoloso artista con quella del prolifico industriale. I vetri che dall'opificio di Nancy escono sono solo suoi, per iperbole, perché tutti disegnati personalmente da lui, di cui esegue sempre il prototipo, collaudandone tanto materiale che tecnica in diretta. Gallé, insomma, segue tenace e vigile la produzione di ogni singolo vetro. [...] A Emile Gallé erano ricondotti, al momento dell'acquisto, cinque vasi della collezione di Villa Marigola. Di questi, due recano indubbiamente i segni dell'immaginifica poetica di Gallé, un vaso di grande dimensioni, a bocca quadrilobata, in vetro giallo doppiato in vetro amaranto a cammeo, e un altro, di dimensioni di poco inferiori, a baluastra, cosiddetto per la forma che ricorda un singolo balaustrino, dalla bocca senza orlo, in vetro incolore con inclusione di vetro arancio, giallo e verde, sempre lavorato a cammeo. In ambedue i casi la decorazione è a tema botanico, secondo il repertorio visivo prediletto da Gallé, con grappoli di fioriture di glicine nel primo e rami fioriti di acer negundo nel secondo, con le caratteristiche disamare e grandi foglie piene, pur già smarginate da insetti voraci. Entrambi i vasi recano ben evidente la firma del suo ideatore, sul fondo e poi ripetuta sul fianco per quanto riguarda il vaso decorato a glicine, secondo un'abitudine che il maestro di Nancy utilizza negli anni tra il 1894 e 1897, solamente sul corpo nell'altro, così come Gallé era solito fare a partire dal 1900, quando il successo ormai raggiunto, da un lato, e i numerosi emulatori, dall'altro, lo inducono a rendere immediatamente riconoscibile ogni sua invenzione.  La tecnica utilizzata per i due vasi, detta a cammeo, caratteristica di molti vetri concepiti e realizzati da Gallé a partire dalla fine del nono decennio del XIX secolo, prevede la stesura di strati di vetro, due ma anche più, che, sovrapposti, danno profondità al disegno poi apportato, quando l'incisione realizzata alla ruota o alla moletta necessaria per definire il decoro vero e proprio permette di raggiungere i diversi strati di colore. Tecnica chiaramente desunta dalla glittica, del tutto simile a quanto previsto appunto per la realizzazione di un cammeo in pietra, in questo caso preparando, a posteriori, la materia da incidere e dove la sovrapposizione degli strati di vetro dal colore e dalla consistenza differenti imitano la stratificazione geologica della roccia, spontaneamente offerta dalla natura. Solamente gli oggetti effettuati su commissione o realizzati in serie limitata venivano incisi manualmente, mentre i vasi destinati alla grande distribuzione erano eseguiti utilizzando l'acido fluoridrico, procedimento inviso al maestro e per molto tempo con caparbietà osteggiato, ma poi acquisito perché in grado di smorzare notevolmente tempi di produzione. E in ogni caso, sia che il vaso fosse destinato alla distribuzione commerciale o, al contrario, nelle grandi raccolte di vetri, il successo della tecnica a cammeo divenne ben presto dilagante. A cammeo è infatti realizzato anche il vaso prodotto nella manifattura Loetz e siglato Richard, vaso che peraltro coincide compiutamente anche per forma e soggetto con la produzione di Gallé, a conferma del debito e dell'approvazione riconosciuti a quel repertorio, riprodotto nel tempo senza riserve. [...] L'officina Loetz nel quale questo vaso è stato prodotto era stata fondata a Klostermühle in Boemia nella prima metà del XIX secolo da Johann Baptist Eisner e poi rilevata nel 1852 dall'intrepida vedova di un vetraio, Susanna Loetz, che pur mantenendola con inusitato piglio per poco più di due decenni – nel 1879 la manifattura passa difatti nelle mani dell'ingegnoso nipote Max Ritter von Spaun che, in sodalizio con il suo direttore Eduard Prohaska, porta la ditta a brevettare e produrre inediti oggetti – lega per sempre il suo nome e quello del suo defunto marito a quei vetri spesso di innovativo estro. Tra il 1926 e il 1929 la manifattura Loetz, ormai del tutto affermata, utilizza su larga scala la tecnica del vetro cammeo producendo un gran numero di vasi, lampade, singoli paralumi, nel tentativo di soddisfare le esigenze di un mercato crescente, esigenze da soddisfare, per profitto, nel più breve tempo possibile. Questi manufatti, quando prodotti su domanda diretta, recano differenti firme a secondo della richiesta del committente, firme che non esplicitano direttamente la provenienza dalla ditta boema ma piuttosto recano in alternativa, ben evidenti, nomi e pseudonimi dal suono francese, quali Lutetia, Lucidus, de Vez – nome, questo, che nasconde l'identità di Camille Tutre de Varron – e, infine, Richard. Questa firma è apposta su numerosi vetri, e in particolare è rinvenibile su vasi che illustrano montani paesaggi lacustri, del tutto simili a quello figurato nell'esemplare di Marigola, da collegarsi senza indugio pertanto a quel preciso momento produttivo. [...] Tratto dal Volume Il patrimonio degli spezzini. Le collezioni d'arte di Carispezia Gruppo Cariparma Crédit Agricole e Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia a cura di Eleonora Acerbi e Andrea Marmori.

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