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8 settembre 1943: l'impegno dei sacerdoti

La sera dell'8 settembre 1943, proprio settant'anni fa, all'imbrunire, l'arciprete di Zignago don Augusto Stagnaro scendeva a piedi dal santuario del Dragnone, dove si erano svolte le feste annuali della Madonna.

Con lui era il giovane parroco di Serò, don Ernesto Schiasselloni. Alle prime case del paese alcune persone corsero loro incontro trafelate, gridando che la guerra era finita: la radio aveva appena dato notizia dell'armistizio. Don Augusto si rivolse al giovane confratello, prete da pochi mesi, e disse: «Sì, la guerra ora è finita, ma temo che presto ne cominci un'altra, ancora peggiore». L'arciprete fu facile profeta. Nel giro di pochi giorni gran parte dell'Italia – con tutta la Liguria – venne occupata dai tedeschi, il che provocò lo spostamento del fronte, ripetuti bombardamenti alleati e, in particolare, l'avvio della lotta di liberazione nazionale con le feroci rappresaglie da parte delle forze nazifasciste. L'Appennino ligure di levante, prossimo alla "linea gotica", per quasi due anni fu al centro di quella nuova guerra, più "vicina" e feroce dell'altra, e le popolazioni ne subirono le gravissime conseguenze. Al loro fianco ci furono i parroci, che, mettendo a rischio la loro stessa vita, si adoperarono sempre per garantire quanto possibile la sicurezza e la vita dei parrocchiani. Proprio questo loro essere al servizio di tutti in zone che presto divennero basi partigiane e luoghi di azione militare contribuì – agli occhi dei tedeschi e dei "repubblichini" – a far apparire i sacerdoti quali nemici del regime di occupazione "a prescindere". La fucilazione del parroco di Lavaggiorosso don Emanuele Toso nell'estate 1944 e quella del parroco di Valletti don Giovanni Battista Bobbio nel gennaio 1945 si spiegano in gran parte così. Molti altri sacerdoti spezzini furono arrestati e torturati, e lo stesso don Stagnaro, parroco a Pieve di Zignago dove si era insediato un importante comando partigiano, subì perquisizioni ripetute nella canonica ed anche un arresto, sia pure senza gravi conseguenze. Le "Memorie" del vescovo di allora Giuseppe Stella e il libro "Sacerdoti cattolici nella resistenza" di Franco Franchini testimoniano bene, insieme ad altri scritti, il ruolo essenziale svolto dai sacerdoti delle vallate spezzine a fianco di popolazioni stremate dalla guerra, ridotte nel numero (molti uomini adulti erano caduti al fronte o prigionieri) e desiderose di pace. In realtà, come emerge dall'episodio raccontato all'inizio, i sacerdoti avevano intuito da subito la gravità della situazione ma anche l'assurda ostinazione nazifascista a proseguire una guerra ormai perduta. E sapevano anche che sarebbe toccato ai "quadri" dei laici cattolici concorrere ad offrire alla ritrovata democrazia italiana una nuova classe dirigente in grado, come fu anche in Germania e in Francia, di recuperare il terreno perduto. L'estate del 1943, del resto, fu l'estate del "Codice di Camaldoli", il programma democratico cristiano alla cui redazione concorsero la spezzina Angela Gotelli ed importanti esponenti liguri. L'8 settembre 1943 fu dunque per i parroci dell'Appennino ligure e non solo ligure l'inizio di un Calvario anche personale, che essi affrontarono sempre con coraggio e con dedizione. Ciò rende ancora più assurde le uccisioni di preti, motivate da puro odio ideologico, perpetrate alla fine della guerra da partigiani o da ex partigiani in alcune zone dell'Emilia, come quelle di don Umberto Pessina o del giovanissimo seminarista Rolando Rivi. La Liguria di Levante, per fortuna, ne fu risparmiata.

 

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