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Le radici liguri e spezzine del Codice di Camaldoli In evidenza

Proprio settant'anni fa il «Codice di Camaldoli» poneva le premesse per la lunga stagione dell'impegno diretto dei cattolici nella vita politica italiana, in vista della fine della guerra e del ritorno della democrazia.

Di fatto, esso preparò il programma economico e sociale della futura Democrazia cristiana. Redatto tra fine estate e primo autunno del 1943, il «Codice» (che richiamava il «Codice di Malines» del 1927) sintetizzava i risultati delle giornate di riflessione e di studio vissute al monastero di Camaldoli tra il 18 e il 25 luglio da una cinquantina di esponenti dell'Azione cattolica e dei movimenti collegati, in particolare i Laureati cattolici. Il fascismo stava per cadere, Roma era stata bombardata dagli alleati e la guerra appariva ormai perduta. Forte era nel popolo italiano non solo la richiesta di pace, ma anche quella di una concreta speranza di democrazia e di giustizia sociale. I cattolici sapevano, anche se non sarebbe stato facile, di poter offrire al paese stremato una nuova classe dirigente, e le giornate di Camaldoli trascorsero con quella prospettiva, ormai concreta. In quell'occasione, che gettò le basi del «Codice» camaldolese, forti e singolari erano le radici liguri. Tra i partecipanti alle giornate di Camaldoli i liguri erano numerosi ed autorevoli. Oltre a Paolo Emilio Taviani, che diventerà segretario nazionale Dc e poi a lungo ministro, troviamo infatti Antonio Boggiano Pico, autorevole esponente del movimento cattolico democratico sin dai primi del Novecento, Augusto Solari e soprattutto i sacerdoti Franco Costa ed Emilio Guano, futuri vescovi, amici e collaboratori di Giovanni Battista Montini alla Fuci e all'Azione cattolica. E' la conferma di come l'ambiente cattolico genovese, in particolare universitario, sia stato, lungo tutto il periodo del fascismo, un cenacolo di dibattito libero e di elaborazione ideale e programmatica, in linea del resto con le tradizioni del cattolicesimo ligure sin dai tempi napoleonici. Con loro c'era la spezzina Angela Gotelli, che era stata, sempre con Montini, presidente nazionale del ramo femminile della Fuci ed era allora, prima di collaborare alla resistenza in Val di Taro ed essere poi eletta alla Costituente, collaboratrice di Vittorino Veronese ai laureati cattolici. Ma c'è di più. Coordinatore di quelle giornate camaldolesi fu il vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi, assistente nazionale dei laureati cattolici ma anche direttore spirituale di Itala Mela, la mistica spezzina della quale è in corso la causa di beatificazione. Itala Mela aveva nella Gotelli la sua più grande amica, sin dai tempi del liceo, frequentato insieme al "Lorenzo Costa", come dimostra il ricco carteggio. Di certo, nelle pause di lavoro di quei giorni densi e drammatici, il vescovo di Bergamo e la futura componente della commissione dei 75 per la Costituzione non potevano non parlare di Itala, del suo carisma, della sua missione. Bernareggi, del resto, già almeno due volte aveva parlato di Itala con Pio XII, in udienze nelle quali il papa lo esortava ad occuparsi, attraverso i laureati cattolici, della nuova classe dirigente da proporre al paese. E' davvero singolare immaginare come il cammino di preparazione alla più grande sfida politico sociale dei cattolici italiani nel Novecento, quella della Democrazia cristiana, si sia intersecato con la figura di Itala Mela attraverso le due persone che più le sono state vicine in tutti quegli anni.

 

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