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La figlia di un esule polesano ci racconta come la sua famiglia è riuscita a scappare dai titini In evidenza

di Anna Mori – Una storia dura, ma purtroppo reale.

Anna Jone Ammirati è figlia di un esule polesano, ha voluto condividere con noi la storia della sua famiglia, raccontandoci come i suoi parenti sono riusciti a salvarsi dalle persecuzioni titine.

“Mio papà Giovanni Ammirati è nato a Torre Annunziata nel 1916. In seguito la famiglia si è trasferita a Pola per seguire il padre che era militare. Tutti i figli hanno seguito le orme del papà e sono entrati in Marina, tranne ovviamente mia zia Ida, che ha avuto un figlio, Emidio, proprio nel periodo delle persecuzioni titine.

Quando sono iniziati i fatti, mio padre e la sua famiglia sono riusciti a scappare. Hanno dovuto improvvisamente lasciare tutto, la casa, i mobili, si sono portati dietro solo un catino in alluminio per lavare Emidio, mio cugino, che era in fasce. Questo lo so perché me lo ha raccontato mia zia, la sorella più grande di mio papà. Lui ha solo raccontato una volta che è scappato attraverso i boschi: per non farsi catturare è rimasto 3 giorni nel fango al freddo e per sfamarsi ha mangiato radici.

Era riuscito a scappare prima rispetto ad altri, grazie all’allarme lanciata da mio zio, che all’epoca aveva circa 10 anni, il più piccolo dei fratelli di mio padre. Un giorno ha seguito i titini che portavano con loro un prigioniero: ha visto che lo hanno legato con gli altri prigionieri, poi hanno sparato al primo che è precipitato nella foiba e gli altri ancora vivi gli sono andati dietro. Chissà quanta sofferenza prima di morire. Quando il bimbo è tornato a casa, ha raccontato tutto, e nel giro di poche ore tutti gli uomini adulti sono scappati per i boschi.

Mio papà e la sua famiglia sono arrivati a Venezia, dove si erano dati appuntamento con altri parenti, anch’essi esuli. Dopo qualche anno sono state costruite le case dei Polesani a Marghera. Alcuni di loro vi sono andati ad abitare. mio padre era in Marina ed ha continuato a navigare.

La storia della mia mamma, invece, non è legata a Pola: dopo che la famiglia di papà è fuggita, è riuscita a raggiungere Venezia. Mio papà era Sottoufficiale di Marina e andava a ballare al circolo. Lì ha incontrato la mamma, si sono sposati, la nave di papà è stata trasferita a Messina. Mia mamma dopo un anno che non lo vedeva ha fatto un viaggio di due giorni e lo ha raggiunto. Io sono nata a Messina, in seguito siamo stati trasferiti a Taranto e poi ritornati a Venezia. Alcuni anni dopo la destinazione è stata La Spezia, dove ci siamo fermati perché io ho iniziato la scuola elementare. I miei parenti che hanno vissuto a Pola non parlavano napoletano, ma il polesano, che è molto simile al Veneziano, ma con un accento più dolce.

Mio papà desiderava tanto tornare a vedere Pola, ma all'epoca viaggiare non era semplice. Un giorno portò mia mamma a casa di una signora polesana che viveva alla Spezia, perché voleva farle assaggiare la Iotta, una minestra tipica a base di fagioli, orzo, patate, verza, con pezzetti di pancetta affumicata. Ha voluto che mia mamma imparasse la ricetta e lei gliela cucinava due o tre volte l'anno. Non siamo mai riusciti ad andare a Pola con lui. quando ho compiuto 50 anni, sono andata prima a Messina per vedere dove sono nata, poi, alcuni anni dopo sono riuscita ad andare a Pola con Gabriella Peroni, presidente di AIDEA, anche lei figlia di esuli polesani.

Papà non riusciva a raccontare questi fatti per la grande sofferenza che si portava dentro, tranne il fatto del catino in alluminio che girava per casa di mia zia e che era proprio come quelli visti questa mattina sul treno. Nessuno faceva riferimento a questi fatti, perché la sofferenza era talmente forte e pesante che non ne riuscivano a parlare. Mio zio, il più piccolo, quello che ha seguito i titini e che ha dato l’allarme, è morto da un anno circa e cantava, prima di morire, tutte le canzoni che stamattina hanno cantato gli esuli. La sua infanzia l’ha passata in quelle terre, le sue radici erano in quei territori”.

Questa mattina Paola Montaldo, allieva di Gloria Giuliano della scuola Gloria Ensemble, ha voluto donare un suo quadro all’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia La Spezia. E’ appassionata nel dipingere i treni e aveva iniziato questo quadro, come tanti altri. Ritrae una locomotiva quasi uguale a quelle dell’epoca in cui gli esuli hanno lasciato quelle terre. Sapendo del Treno del Ricordo, a voluto terminarlo in fretta e furia e donarlo.

Sotto all'articolo è possibile sfogliare la galleria di immagini. Foto di Anna Jone Ammirati.

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