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Nell’editoriale di questa settimana Luca Erba intervista l'autore del volume, da poco pubblicato, dal titolo “Vita contadina e diritti economico sociali. Noia e riflessioni in un villaggio agricolo”.

Paolo Junior Mancini, classe 1992 laureato in giurisprudenza all’Università di Pisa con una tesi in diritto penale dello sport sulla normativa che disciplina la violenza negli stadi, attualmente operatore data entry presso la Procura della Spezia. Autore del romanzo/saggio, da poco pubblicato con la casa editrice Il Filo di Arianna, dal titolo “Vita contadina e diritti economico sociali. Noia e riflessioni in un villaggio agricolo.”


Una domanda che spesso si fa, e che anch’io mi trovo costretto a porti: come nasce e quando nasce l’idea di scrivere un’opera così?
L’idea nasce in uno degli innumerevoli momenti di noia vissuti in un villaggio agricolo di circa ottanta abitanti, Cuffiano, un paesino in Provincia di Benevento dove ho amici e parenti.
L’idea originaria era quella di valorizzare in qualche modo quel luogo e di scrivere un romanzo ivi ambientato ma, documentandomi, sono riuscito a creare un’opera mista. In una contrada di campagna dominata dalla noia e dal grigiore della quotidianità, sono rimasto impressionato dalla tenacia dei contadini nello svolgimento dell’attività agricola non di mercato ma di sussistenza, finalizzata cioè al solo fabbisogno proprio e della propria famiglia. In questo spaccato di terra, l’agricoltura non è orientata al profitto ma costituisce il mezzo principale per il raggiungimento di una esistenza libera e dignitosa dei contadini residenti.
La pace del luogo mista ai colori e agli odori dei campi agricoli minuziosamente coltivati hanno ispirato una tipologia di testo che, in prosieguo di tempo, è andata trasformandosi in un’opera avente natura mista: in parte è stata conservata una struttura romanzata e narrativa, in parte è stata aggiunta una struttura espositiva al fine di portare alla luce determinati argomenti, informarne il lettore e sollevare relative questioni. Nasce, infatti, come un romanzo e si scontra successivamente con la realtà agreste del luogo di ambientazione la quale diventa fonte di ispirazione per numerose riflessioni sui temi trattati.


Come definiresti il volume che hai appena dato alla luce? Dove si colloca? In quale scaffale della libreria va posto? Accanto a quale genere sta bene e a quale non sta bene abbinarlo?
Il volume ha una natura mista. Per quanto riguarda la prima parte, va collocato sicuramente tra i romanzi perché ha una struttura narrativa e scorrevole. Per quanto riguarda la seconda parte va inserito tra i saggi. A voler individuarne la tipologia direi un saggio giuridico, nello specifico di diritto costituzionale, in quanto l’intenzione è elevare gli ultimi a classe nobile. Nello specifico, i contadini, abbandonati a sé stessi, nell’ottica del proletariato, intesi come l’ultima scala di una piramide sociale. Non a caso il libro contiene, inprincipio, una dedica a mio padre che da bracciante agricolo è diventato commissario di Polizia di Stato auspicando cioè che, attraverso la rinascita dei diritti sociali, tutti possano evolversi da una condizione economico sociale precaria (ciò che, nel libro, io chiamo “lo stato primordiale”) ad una posizione quanto meno più dignitosa. Nel libro lo chiamo “superamento dello stato primordiale”.
Lo abbinerei ad un saggio giuridico ma anche un saggio relativo alle scienze sociali.


Racconti della vita contadina, della vita che sta dentro a quel micro cosmo. Sottolinei più volte la fatica del mondo agricolo. Quale messaggio vuoi dare?
Con la rivoluzione industriale le migrazioni dalla campagna alla città sono aumentate favorendo l’urbanesimo. La contrada narrata è il risultato dello spopolamento delle campagne nel tempo e di una tradizione agricola abbandonata. L’età media dei contadini del luogo è di circa 80 anni e sono gli ultimi nostalgici che resistono di fronte ad un mondo che cambia. La sparuta e fastidiosa minoranza all’interno di questo micro cosmo discende, infatti, da una civiltà preindustriale e precapitalistica e rifiuta i meccanismi con i quali si evolve l’agricoltura contemporanea facendo prevalere l’utilizzo delle sostanze naturali ed una agricoltura biologica. Inoltre l’agricoltura, sempre più industrializzata, danneggia l’ambiente attraverso l’inquinamento poichè utilizza largamente prodotti chimici. Il fine di questo tipo di agricoltura è la crescita della produttività naturale della terra attraverso metodologie sempre più raffinate ma, allo stesso tempo, responsabili della produzione dell’inquinamento del suolo, dell’aria e delle falde acquifere. Il messaggio è proprio quello di valorizzare il tema. Nel libro mi soffermo anche sul fatto che non sia casuale che la maggior parte dei giovani della contrada narrata scelga istituti agrari per il percorso formativo individuale. È anche un modo per rilanciare il desiderio di fronteggiare la crisi agraria non solo a livello locale ma anche nazionale. Devono essere i Governi ad occuparsene….

 

La noia non è effettivamente qualcosa di prezioso? Nella noia si riflette, si pensa, ci si interroga, vengono idee....
Esattamente, la noia viene interpretata in questo modo. Quando espongo in prima persona e narro gli episodi che vivo in contrada rifletto, penso, mi interrogo. Ed è soprattutto da questi ragionamenti che si è sviluppato il libro.


All’interno del tuo romanzo rimane sullo sfondo di ogni pagina un elemento di disillusione che caratterizza il filo conduttore di ogni capitolo: siamo dentro un’epoca di sfruttamento dei più forti sui più deboli. Siamo dentro un nuovo conflitto di classe e neanche ce ne siamo accorti?
Il filo conduttore è esattamente quello. I contadini sono intesi come gli ultimi tra gli ultimi, vittime sacrificali di politiche sbagliate. Nell’ispirazione del saggio giuridico mi ha aiutato molto la lettura del Manifesto (e non solo) di Marx. In sintesi Karl Marx conduce gli operai da uno stato di abbandono al Comunismo attraverso la dittatura del proletariato. Io ho provato a ragionare in questo modo con protagonisti e finalità diverse. Provo cioè a condurre i contadini (e non gli operai), sempre nell’ottica dello sfruttamento, del proletariato e dell’abbandono sociale, alla Democrazia (non c’è Democrazia senza Stato Sociale) attraverso la rinascita dei diritti sociali (e non attraverso la dittatura del proletariato). I diritti sociali costituirebbero lo strumento per liberare i contadini dallo sfruttamento.
Questa tesi si ripercuote per tutto il libro, anche con cenni nella parte romanzata diretti a preparare il tema per la parte giuridica.


Oggi, il mondo contemporaneo, che villaggio è a tuo modo di vedere?
In senso economico, la crisi sanitaria scatenata dal virus Covid 19 ha dimostrato che oggi la classe media va scomparendo. Vi è quindi una disparità sociale non indifferente per cui chi è ricco sarà sempre più ricco e chi è povero sarà sempre più povero. Il nostro è quindi un villaggio nel quale vi è una crisi economico-sociale perenne…


Consiglieresti ad un giovane il percorso della scrittura come strumento di crescita interiore o pensi, alla luce della tua esperienza, che la scrittura sia solo per pochi?
La scrittura non è per pochi. È sicuramente un modo per svagarsi ma anche per guardarsi dentro e riflettere. Chiunque può farlo, questo è il consiglio che mi sento di dare ad un giovane: scrivere, elaborare, riflettere…


Ci saranno presentazioni del volume nelle prossime settimane?
A metà febbraio, se il Comune mi confermerà.

 

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