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di Alessandro D'Asaro - Ha sfidato, con la sua intelligenza la mafia.

“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.

Borsellino è nato il 19 gennaio del 1940 a Palermo. A soli 23 anni ha conseguito la laurea in Giurisprudenza, diventando il più giovane magistrato d'Italia.
Nel 1967 è stato nominato pretore, ed è in questo momento che inizia a conoscere la mafia.
Nel 1975 viene trasferito all’Ufficio istruzione del tribunale di Palermo e qui stringe un ottimo rapporto con il suo superiore, Rocco Chinnici, che viene ucciso nel 1983.
Appena prima di morire, Chinnici forma il famoso pool antimafia, un gruppo di giudici istruttori il cui lavoro sarebbe stato dedicato solo ai casi di mafia. Di questo pool faceva parte anche Giovanni Falcone.

Nel febbraio del 1980 Borsellino fa arrestare i primi sei mafiosi: tra questi, Giulio e Andrea Di Carlo. Insieme a Falcone, circa a metà degli anni Ottanta, istituiscono un maxi-processo a Palermo, basato sulle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta.
Questo causa ai due giudici non pochi problemi, costringendoli a passare con le loro famiglie un periodo all’Asinara per ragioni di sicurezza.
Il 1987 l’anno della svolta: nell’aula bunker dell’Ucciardone vengono formalizzate 342 condanne. Il pool antimafia in seguito viene sciolto e Borsellino nominato procuratore di Marsala.
Borsellino già sa quale sarebbe stato il suo destino e, dopo l’assassinio di Giovanni Falcone il 23 maggio 1992, in cui morirono anche la moglie e tre agenti della scorta, denuncia l'isolamento dei giudici nelle ultime interviste, dichiarandosi “un condannato a morte”.

Il 19 luglio 1992, due mesi dopo la strage di Capaci, il giudice va a trovare la madre in via D’Amelio ed al suo arrivo, un’auto parcheggiata imbottita di tritolo esplode, uccidendolo, insieme a lui, anche i cinque agenti della scorta.
Migliaia di persone partecipano ai funerali ma i familiari rifiutano quelli di “Stato”, accusando lo stesso Stato di non aver difeso il giudice.
Dopo tanto tempo, la sua morte è ancora motivo di indagini, avvolta nel mistero e probabilmente oggetto di depistaggi nel corso degli anni.

Oggi lo ricordiamo così citando una sua dichiarazione: “Non sono né un eroe né un Kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell'aldilà. Ma l'importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento... Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno”.

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