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Commenti razzisti e disprezzo sui social, i “che schifo” sono sempre più frequenti In evidenza

di Marina Lombardi – Le pagine social non sono solo divulgazione di informazioni, ma anche spazi di costruzione di idee.

Fin dagli albori di quel "villaggio Globale" che Marshall McLuhan coniò già alla metà degli anni ‘60, le varie società del mondo si sono a poco a poco trasformate e adattate all'utilizzo prima di quell'internet che possiamo ormai definire primordiale, quel recipiente di siti di scambio come i primi forum o le chat di msn, fino ad arrivare al mondo di oggi dominato dai social media, in cui la percezione della realtà virtuale inizia a coincidere anche con la realtà fisica. Almeno secondo la legge. Sì, perché è proprio qui il punto di tutto, c’è ancora chi crede che “se lo scrivo sui social, non conta”.

La comunicazione online è ancora oggi concepita su larga scala come distaccata dalla realtà fisica, il che fa sì che prenda forma un modo di comunicare totalmente incurante delle conseguenze delle parole che molti utenti decidono di pubblicare.

Utenti che si sentono legittimati a condividere commenti disprezzanti, razzisti, omofobi o semplicemente offensivi, credendo di poter dire tutto quello che vogliono e come vogliono, anche se questo comporta l'uso di termini dispregiativi e offensivi, diffamanti, totalmente privi di ogni educazione sociale, civica e legislativa. Utenti che, con le loro parole, spesso anche sarcastiche, comunicano incitamenti all'odio, in particolare, al razzismo. Utenti, che in realtà dovremmo chiamare persone.

Il nostro giornale riceve una media di 1000 commenti la settimana, controllarli tutti non è semplice, segnalarli ancora meno, ma spesso non è nemmeno efficace.
Si tratta infatti di commenti, spesso posti in modo ironico, che estrapolati dal contesto non significano granché, ma che al suo interno svolgono una funzione ben precisa: propagare una serie di narrazioni discriminatorie, in gran parte rivolte ad una sezione specifica di persone, i cosiddetti migranti. Ciò che emerge, è un razzismo diffuso e intrinseco ormai al pensare quotidiano che non fatica a fuoriuscire ogni qualvolta si parli di migrazione, persino, nel caso del macabro omicidio il cui ritrovamento è avvenuto nel Tigullio pochi giorni fa.

Non si tratta solo di commenti, ma anche di condivisioni di articoli sopra i quali vengono inserite considerazioni personali, insindacabili in un paese democratico, ma che velano con quell'ironia tipica di chi vuole dire senza dire davvero e che propaga concetti discriminatori e razzisti, l’incitamento al disprezzo e all’odio e definiscono una categoria sociale superiore e meritevole rispetto ad un’altra. Siamo così costretti ad incappare in considerazioni ben approfondite e argomentate, anche da parte di rappresentanti dei cittadini che dalla loro posizione di prestigio politico e sociale esprimono, spesso indisturbati, idee discriminatorie.

Queste persone, o per usare un anglicismo "haters", sembrano incuranti o ignari della legge italiana, che prevede la possibilità di essere perseguiti per diffamazione o incitamento all'odio anche sui social. Il reato di diffamazione è infatti punito dalla legge italiana dall’art. 595 del Codice Penale, con la reclusione fino ad un anno o con multa di più di 1000 euro ed è applicabile anche alla diffamazione sui social.

Facebook dispone inoltre la possibilità di segnalare anonimamente commenti, post, pubblicità, utenti e di motivarne la decisione. Non di rado, accade però che molti di questi non vengano rimossi, dal momento che molti di questi, spesso ironici, estrapolati dal contesto non significano granché, ma al suo interno rappresentano il reale veicolo di narrazioni sociali particolarmente emblematiche. È proprio così infatti, che secondo le scienze sociali e gli studi psicologici sulla comunicazione, prende via a poco a poco quella serie di idee nella mente delle persone, che definiscono poi le narrazioni sociali di un determinato fenomeno.

Sempre più spesso gli enti competenti si impegnano ad erogare corsi di formazioni e lezioni specifiche agli alunni nelle scuole per insegnare loro l’utilizzo consapevole dei social media, all’inizio di quest’anno ad esempio con l’iniziativa “una vita da social” della prefettura, ma ciò che è importante domandarsi è, “davvero solo i giovani ne hanno bisogno”?

I commenti offensivi che appaiono su Facebook, il social utilizzato ormai in linea di massima, da una fascia di età medio alta di persone, risultano essere postati proprio dagli adulti. L’educazione ai social è quindi un capitolo che non è ancora storia e che influenza non solo una sfera virtuale ristretta, ma i comportamenti su larga scala.

Infine, a causa delle migliaia di reazioni al giorno sulla nostra pagina social, controllarne ogni commento è impensabile, pertanto invitiamo lettori e followers a segnalarci comportamenti descritti fino ad ora o qualsiasi altro comportamento inadeguato, qualora notassero, cosicché se la segnalazione si rivelasse fondata sarà cura del social media manager eliminare il commento. Inoltre, se l’utente dovesse rivelarsi recidivo a tali comportamenti ne verrà predisposta l’esclusione definitiva dalla nostra pagina.

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