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Amministrative: chi vince, chi perde, chi si accontenta di partecipare In evidenza

Di Gianluca Solinas - Se i numeri hanno un senso, quelli delle amministrative spezzine vanno letti con uno sforzo di obiettività almeno da chi osserva la politica da fuori.


I risultati del primo turno delle amministrative 2017 recano con sé vincitori, perdenti e semplici partecipanti. Tutti hanno un nome e cognome.


Cominciamo da chi ha ottenuto un risultato storico e pensa di poter conquistare il capoluogo strappandolo ad anni di governo monocolore (oggi rosso sbiadito) e cioè il centrodestra capitanato da Pierluigi Peracchini.
Un candidato scelto con cura, efficace nella comunicazione e nell’impostazione centrista, di provenienza sindacale e dall’atteggiamento risoluto ma moderato nei toni e dall’immagine rassicurante. Tutto questo, insieme al fatto che il centrodestra ha saputo raccogliere una buona parte del malcontento seminato dal PD in questi ultimi anni, ha fatto sì che la percentuale con cui il candidato Peracchini andrà al ballottaggio sia di circa 8 punti superiore a quella della concorrenza. I dubbi, legittimi. Riguardano semmai il peso della frangia populista rappresentata da Lega e Fratelli d’Italia, sulle scelte future. Un conto sono gli slogan un conto il governo. Questo tema sembra conoscerlo bene il candidato Peracchini, attento a non farsi trascinare troppo, a non farsi tirare per la giacca, a non sbilanciare la propria immagine di moderato sapendo bene che al centro si vince. Adesso saranno possibili apparentamenti più o meno espliciti con liste civiche come quella di Giulio Guerri, strenuo oppositore della giunta Federici, per arrivare al ballottaggio con un margine di sicurezza nei confronti di chi è costretto ad inseguire.


Passando al candidato del centrosinistra Paolo Manfredini e al suo risultato, non si può certo non notare un calo vertiginoso nei consensi, da attribuire certamente alla frammentazione delle liste di sinistra e da quelle “disturbatrici” come ad esempio Forcieri e Melley, ed anche al logoramento fisiologico che spesso abbatte chi governa da tempo (immemore in questo caso). In ogni caso la sconfitta del PD è ancora da venire e, anche se in vistoso calo di consensi, la compagine di Manfredini dovrà cercare, (tramite il “bagno di umiltà” evocato da Brando Benifei nella prima fase dopo il voto?) di ricostruire un’alleanza ampia che ad oggi, ma anche ieri notte nella sede della segreteria, pare alquanto complicata da ottenere. Da chi andare a cercare l’appoggio necessario? Da Ruggia? Che ha dichiarato prima del voto la propria indisponibilità? Da Lombardi? Da Forcieri? Da Melley? Ora la palla passa alla segreteria, ai big locali del partito, a quella Raffaella Paita che in ogni modo dovrà evitare un’altra pesante sconfitta elettorale.
Sembra davvero difficile risolvere la situazione a questo punto ma, l’esperienza insegna, in due settimane si può fare molto e le sorprese sono dietro l’angolo. Qualche telefonata “romana”, qualche accordo per salvare la barca che rischia di affondare, fra le mille difficoltà che la situazione presenta, ci potrà anche essere, ma che serva a risolvere una situazione che pare sempre più una faida sarà difficile.


Passando al Movimento 5 Stelle, beh, difficile non fare paragoni con il dato nazionale che è distante 22 punti percentuali! “Se alimenti la gente solo con slogan rivoluzionari, li possono ascoltare oggi, domani, dopo domani, ma al quarto giorno ti diranno: Va all'inferno” diceva qualcuno (ma forse Beppe Grillo su questo non è d’accordo).
Che la situazione alla Spezia e a Genova non fosse brillante si sapeva, che nel golfo il M5S scendesse a livelli inferiori al 9% sembrava, dai sondaggi, fantascienza. Accreditati di una cifra intorno al 20% dai sondaggi solo una settimana fa, ai penta stellati spezzini non è servito nemmeno il rientro in extremis di Marco Grondacci come assessore di peso per evitare di piombare in una discesa che sembra davvero diffusa a livello nazionale. Certamente soprattutto per i penta stellati il fiorire di liste civiche (record di sempre a livello nazionale) non ha portato bene. Adesso si attendono anche da loro indicazioni di voto (che non arriveranno) e, in alternativa una libertà di scelta che difficilmente convergerà sul nemico numero uno: il partito di Renzi.


Per quanto riguarda Lorenzo Forcieri (il cui risultato è notevole anche se nettamente inferiore alle sue dichiarate aspettative), la partita si gioca fra le porte chiuse del suo ex partito e quelle a quanto pare aperte del centrodestra pigliatutto. Sempre che il telefono non squilli e che dall’apparecchio una voce “importante” non riesca a convincerlo ad un atto da figliol prodigo in extremis. E sempre che la magistratura non abbia qualcosa da dire da qui ad ottobre prossimo, data che vedrà la fine della proroga delle indagini sull’inchiesta APpalti.


Anche Guido Melley a questo punto fa parte di coloro i quali potrebbero portare acqua e voti al centrosinistra disunito e per ora perdente. Resta da vedere se e come le liste che lo appoggiano possano tornare sui loro passi. Difficile pensare ad accordi a questo punto. Soprattutto perché a perderci, negli eventuali accordi, sarebbe proprio il PD, costretto a distribuire quasi tutto l’eventuale “tesoretto” in caso di eventuale vittoria al ballottaggio favorita da alleanze ad oggi improbabili.


Le liste alternative risultano comunque tutte vincenti, hanno ottenuto l’indebolimento dei “grandi” e ora passeranno all’incasso.


Tutto ciò comporterà due settimane intense, di campagna elettorale spinta, con le due fazioni che sanno di avere molto da guadagnare (il Centrodestra) e da perdere (il Centrosinistra). Chi deciderà, i cittadini con il loro voto, è già oggi sotto accusa da più parti: chi dice che vince l’inciucio, chi dice che non c’è riconoscenza, chi dice che alla gente va bene quello che c’è, chi dice che il cambiamento non lo vuole in realtà nessuno, etc.


La realtà è che queste elezioni hanno allontanato ancora di più le persone dalla politica (lo dimostra la scarsa affluenza) e che nessuno dei politici coinvolti sembra avere un legame profondo con la realtà quotidiana.
La creatività che sarebbe necessaria sembra scomparsa da programmi che sembrano stampati col vecchio ciclostile e ogni velleità di rinnovamento vero è solo accennata per paura di farsi nemici.


“Solo slogan e vecchi merletti” si potrebbe commentare, tenendo conto del fatto inequivocabile e storico che l’Italia non è mai stata la patria delle rivoluzioni e che semmai ciò che davvero potrebbe cambiare le cose è lontano dai cuori così come dalle menti, entrambi troppo impegnati ad innaffiare orticelli privati e ormai palesemente poco produttivi.

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