"I dati che stanno circolando sui media in questi giorni (diminuzione della disponibilità d'acqua, crollo delle precipitazioni e delle portate di fiumi e sorgenti, aumento delle temperature medie) fanno emergere in tutta la sua drammatica realtà l'acuirsi di una crisi idrica che viene da lontano.
Viene dall'utilizzare una risorsa indispensabile, anche per le future generazioni, a scopo solo economico, affidando ai privati - in spregio ai risultati del referendum del 2011 - il governo dell'acqua secondo gli spregiudicati paradigmi della finanza: più acqua si consuma, più aumentano i profitti.
Condividiamo senz'altro i consigli per il risparmio della risorsa che sono stati pubblicati in questi giorni su indicazione dell'ATO idrico spezzino e dei gestori (tra cui Acam Acque).
Ci domandiamo però quale sia la percentuale delle perdite all'interno della rete idrica spezzina (un dato che neppure l'ATO idrico ci ha mai comunicato) e quali prospettive di risparmio della risorsa siano possibili con il trasferimento di Acam Acque ad IREN s.p.a. (il cui obiettivo aziendale è raggiungere una remunerazione degli azionisti dall'attuale 5,5% all'8% entro il 2021, come si ricava dalla lettura delle relazioni al bilancio).
In Italia, la cosiddetta “emergenza idrica” è provocata dalla cattiva gestione e dalla privatizzazione, ma si continua a far finta di nulla e a insistere su progetti che rischiano di devastare quanto rimane del residuo patrimonio idrico italiano.
E', altresì, evidente come la crisi idrica sia il risultato del matrimonio tra il ciclo dell’acqua e il ciclo economico, essa è dovuta principalmente alla scarsità di questa risorsa. Scarsità “man-made”, cioè prodotta dall’uomo, tramite: sovrasfruttamento degli acquiferi, inquinamento delle falde e del reticolo fluviale superficiale, urbanizzazione, con conseguente diminuzione della disponibilità, divisione tra consumo agricolo, industriale, uso civile.
D'altra parte si prova ad accreditare la tesi per cui i due referendum per l'acqua pubblica del 2011 siano stati la causa della situazione attuale, avendo determinato un crollo degli investimenti per cui non sarebbe stato possibile l'ammodernamento delle reti idriche da parte dei gestori.
Una bugia dalle gambe cortissime.
Infatti, gli investimenti sono in decisa flessione sin da fine anni novanta (quindi ben prima dei referendum), nonostante le tariffe dell'acqua siano aumentate più di ogni altro servizio pubblico.
Allora se le tariffe aumentano, gli investimenti diminuiscono e le perdite delle reti aumentano, appare evidente che c'è qualcosa che non torna.
La questione da porsi, che arbitrariamente viene elusa nel dibattito pubblico, è che il finanziamento del servizio idrico integrato ha dimostrato il suo fallimento dal momento in cui al principio del “full cost recovery”, ossia il costo totale del servizio deve essere interamente coperto dalla tariffa, si è associato l'affidamento a soggetti privati: entrate certe e anticipate a fronte di investimenti sempre più ridotti e dilazionati nel tempo. Con i risultati assolutamente inadeguati rispetto alle ingenti opere di cui il servizio idrico necessita.
Superato il concetto del “full cost recovery” ed esautorati i soggetti gestori di natura privatistica, per gli investimenti, occorre progettare, quindi, un sistema di finanziamento che sia basato oltre che sul ruolo della leva tariffaria, anche su quello della finanza pubblica e della fiscalità generale.
Insomma, il giudizio di fallimento dell'attuale sistema di gestione dell'acqua in Italia è un dato di fatto ben difficilmente contestabile che dovrebbe portare ad un'inversione di rotta immediata soprattutto alla luce della pesante crisi idrica.
Diviene in sostanza irrinunciabile e urgente un cambiamento del sistema passando dalla pianificazione dell’offerta, alla pianificazione e gestione della domanda, rimettendo al centro la tutela e gestione partecipativa dell'acqua e dei beni comuni".
Cittadinanzattiva La Spezia
Comitatoacquabenecomune La Spezia