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Ballottaggio: il PD va da solo In evidenza

di Gianluca Solinas – Non ci voleva la sfera di cristallo per prevedere ciò che puntualmente si sta verificando, anche se in politica le certezze non esistono.


Come da copione il candidato socialista del PD Paolo Manfredini non ha ricevuto apparentamenti ufficiali dalle liste che, solo in teoria, avrebbero potuto fornirgli supporto in vista del ballottaggio di domenica prossima.
Forcieri e Melley, Ruggia e Lombardi, non hanno trovato o voluto trovare un accordo per sostenere apertamente il candidato del centrosinistra mentre Pierluigi Peracchini ha ricevuto il placet di Guerri e Cucciniello.
In questi giorni voci e smentite, sortite e bufale hanno infestato il web, senza tuttavia trovare poi riscontro nella realtà.
Alla fine sarà testa a testa, con i dati che danno in vantaggio il centrodestra favorito dai punti di vantaggio ottenuti al primo turno e il mancato sostegno delle liste “affini” (ma solo in teoria) al candidato di centrosinistra.
Si perché a prescindere da Lorenzo Forcieri e Guido Melley , candidati in alternativa al partito Democratico ma almeno nominalmente appartenenti alla stessa area, sono state a quanto pare le liste, i supporter, in qualche caso le formazioni politiche a supporto dei due a non voler nemmeno prendere in considerazione un apparentamento ufficiale con il candidato sindaco del centrosinistra, dettando così la linea ai candidati che non hanno passato il primo turno. Le proposte ci sono state (sostanziose) e sono state rifiutate.
Se si costruiscono le liste in alternativa le motivazioni possono essere di due tipi: il primo riguarda la voglia di “pesarsi” e far così valere i propri voti in vista del ballottaggio, dove poi fare accordi alla luce del sole che prevedano il sostegno in cambio (non è il “mercato delle vacche” ma ciò che prevede la legge) di responsabilità di governo e di programmi condivisi. Il secondo, ed è questo il caso a nostro parere, è di porsi davvero in alternativa e, sentita la base, lasciare libertà di voto e aspettare che il Re (in questo caso il PD) resti nudo, o in mutande col cerino in mano, dando la responsabilità di un’eventuale sconfitta (prima che lo facciano gli altri) a chi “ha fatto di tutto per dividere salvo poi invocare un’unità che pare frutto ormai di pura fantasia”.
C’è anche da considerare il fatto che le indicazioni di voto dei “leaders”ormai lasciano il tempo che trovano e che, come da noi scritto al termine del primo turno, i supporter di Forcieri e di Melley, durante la campagna elettorale, sembravano appartenere molto di più alla galassia del ceto medio o radical chic che non a quella più propriamente di “sinistra”..
Quindi resta lo scontro classico, come ai tempi della prima repubblica: centrodestra contro centrosinistra.
Dal punto di vista politico il tutto è molto interessante perché prefigura ciò che si potrebbe verificare se una legge elettorale nazionale ci riportasse o meno verso un sistema maggioritario, chi riesce a fare squadra vince e, pur immerso in divisioni fra moderati e populisti, fra europeisti ed euroscettici, il centrodestra oggi sembra più attrezzato di un centrosinistra che semplicemente non esiste più e va ricostruito (da chi e su quali basi resta da vedere).
Le colpe ed i meriti saranno il tema principale subito dopo il ballottaggio, sia a livello locale sia a livello nazionale. Ci attendiamo una resa dei conti che manca da troppo tempo, soprattutto all’interno del PD il quale, a prescindere dal risultato, avrà un bel da fare per ricostruirsi e per dare un taglio alle faide interne. Questo per poter convogliare (meglio tardi che mai) le forze della sinistra verso una coalizione in grado di non litigare per più di mezz’ora, creando attraverso un passaggio all’opposizione, le condizioni per un modello nuovo, partecipativo nei fatti, che possa costituire un’alternativa credibile a quel centrodestra che pare destinato a conquistare la città.
Proclami allarmistici a parte infatti, la filosofia dell’alternanza è quanto di più normale e naturale possa esserci in una qualunque democrazia e non dimentichiamo che quello che si andrà a scontrare domenica prossima con Paolo Manfredini si chiama Pierluigi Peracchini, non Marine Le Pen. Questo giusto per sottolineare quanto siano poco efficaci e privi di fondamento gli appelli alla “resistenza contro il pericolo delle destre”, soprattutto se usati come unico o quasi strumento di contrasto politico.
La questione è un’altra.
Si deve proporre una forma di governo che abbia un occhio ai bisogni delle persone e un altro rivolto al futuro. Senza entrare nel merito che appartiene alle scelte personali, non si può tuttavia far finta di niente di fronte alla disaffezione che i cittadini hanno espresso riguardo a chi ha governato la Spezia finora. Disaffezione che si è tramutata in voti contrari e in astensione. Una volta nei partiti di sinistra l’autocritica e l’analisi non si fermavano agli slogan, ora purtroppo sembrano giunti altri tempi. Ma la speranza è l’ultima a morire … giusto?

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