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Mel Gibson ritorna con una lezione morale per gli italiani In evidenza

di Gabriele Cocchi – Desmond Doss cresce nelle campagne di Lynchburg, Virginia, tra le scorrazzate nella natura col fratello e i meno edificanti accessi di violenza del padre alcolizzato, reduce della Grande Guerra.

Saranno proprio gli scontri col padre, tormentato dal ricordo dei giovani amici morti in una guerra di cui, anni e anni dopo, non riesce ancora a comprendere il senso, e una delle tante adolescenziali lotte a mani nude col fratello a scolpirgli a caratteri indelebili nella mente quel comandamento del Vecchio Testamento che finirà per segnare, con alterne fortune, tutta la sua vita: "Thou shalt not kill" ("Non uccidere").

Così, dopo lo sconvolgimento di Pearl Harbor, volendo contribuire a difendere il suo paese come i coetanei, che incominceranno ad arruolarsi uno dopo l'altro, il giovane, impacciato ma perseverante Desmond si immatricolerà tra i ranghi dell'esercito.
Con una tanto piccola quanto sostanziale differenza: in omaggio a quel comandamento di cui sopra e alla fede incrollabile che ne è alla base, in ossequio alla piccola Bibbia donatagli dalla futura moglie Dorothy (Teresa Palmer), che si terrà stretta fin nelle spiagge di Okinawa, Doss si rifiuterà di toccare un'arma che sia una, come d'altra parte si rifiuterà di uccidere altri uomini, anche se nemici. Per il gran sconcerto di sergenti, generali e commilitoni che, furiosi per un comportamento ai loro occhi incomprensibile, dopo averlo dileggiato e isolato per farlo desistere dalla sua volontà di partecipare alla guerra come medico, dovranno ricredersi, tempo dopo, quando sarà proprio lui a salvarli - complice la sua ostinazione (e il suo coraggio) - dalla morte certa fra le trincee nemiche.

Dopo dieci anni dall'ultima fatica – Apocalypto (2006) – Mel Gibson torna dietro la macchina da presa con la storia vera del primo obiettore di coscienza ad essere insignito della medaglia d'onore, con un pizzico di atteggiamento paternalistico che sa tanto - disgraziatamente - di ammaestramento morale dello spettatore.

 spezzino-cinema

È pur sempre la storia di un guerriero, quella di "La battaglia di Hacksaw Ridge", anche se del tutto atipico. Interpretato da un Andrew Garfield efficace nei panni di un uomo inebetito dai suoi princìpi morali, Desmond Doss è il ritratto di un pacifista ante litteram, una piccola goccia di non violenza in mezzo al mare della brutalità della Seconda Guerra Mondiale (qui sulle sponde del Pacifico).
Se il messaggio morale di Gibson è – specie di questi tempi - ammirabile, la sua realizzazione pratica nel racconto è intorpidita da un eccessivo didascalismo e da una quantità sovrabbondante di retorica, fino a sfiorare, a tratti, un detestabile patetismo.
Anche "La battaglia di Hacksaw Ridge" è intrisa di temi cari al regista e attore statunitense come il coraggio, la fede incrollabile (sia in Dio che nei propri princìpi) e la propensione a soffrire e combattere instancabilmente per essa.
Qui manca tuttavia la capacità di tradurli in un lavoro coerente, lasciando da parte i toni apologetici e il sentimentalismo sdolcinato.
Un gran peccato. Soprattutto per il piccolo insegnamento che sta dietro il film e che farebbe un gran bene a noi italiani: rispondere solo e sempre alla propria coscienza, rispettare i propri princìpi morali ad ogni costo, specialmente quando nessuno intorno a te fa altrettanto.

Dove e quando

"La battaglia di Hacksaw Ridge" è in programmazione al Megacine di via del Canaletto mercoledì 8 febbraio alle 17.50, 20.30, 21.10, giovedì 9, venerdì 10 e sabato 11 febbraio alle 17.50, 21.10, domenica 12 febbraio alle 15, 17.50, 21.10 e lunedì 13 febbraio alle 17.50, 21.10; è in programmazione anche al Moderno di Sarzana (qui gli orari).

Titolo originale: Hacksaw Ridge
Genere: Drammatico, Storico, Guerra
Diretto da: Mel Gibson
Scritto da: Robert Schenkkan, Andrew Knight
Con: Andrew Garfield, Sam Worthington, Luke Bracey
Durata: 2h 19 min

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