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Amelia, Bianca e Bice Paganini ricordate a Riccò del Golfo In evidenza

Nel corso della presentazione del libro "“Sebben che siamo donne".

 

Il libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana” ha fatto tappa anche a Riccò del Golfo, nell’Aula consiliare. All’iniziativa, organizzata dal Comune di Riccò del Golfo, dalla Sezione Anpi Val di Vara e dall’Associazione Culturale Mediterraneo, sono intervenuti il Sindaco di Riccò del Golfo Loris Figoli e il Presidente della Sezione Anpi Val di Vara Giovanni Figoli, che hanno evidenziato il contributo della popolazione di Riccò del Golfo alla lotta partigiana, già subito dopo l’8 settembre 1943.
Gli autori del libro si sono soffermati sulle molte donne contadine della Val di Vara e soprattutto su Bianca Paganini, sfollata a San Benedetto e da lì deportata nel campo di concentramento femminile di Ravensbruck, con la sorella e la madre Amelia, che vi morì. Amelia Giardini Paganini è ricordata nella grande targa marmorea posta dal Comune di Riccò del Golfo a Val di Pino, in Piazza Caduti per la Libertà.

“Nel Comune di Riccò del Golfo operava -hanno detto Pagano e Mirabello- uno dei primi nuclei di ‘Giustizia e Libertà’, attorno a Rino Visconti, a Vero del Carpio e ad altri. C’era anche Alfredo Paganini, fratello di Bianca e Bice. Le due sorelle, sfollate a San Benedetto, facevano da mangiare, lavavano i vestiti, portavano cibo e armi ai partigiani. Ai primi di luglio del ’44, sceso in città per prendere medicinali in una farmacia, Alfredo fu arrestato in piazza Garibaldi: probabilmente per una spiata. Nella notte i fascisti, guidati dal famigerato Aurelio Gallo, e i nazisti salirono a San Benedetto e arrestarono la mamma e le due sorelle. Furono portate nel carcere spezzino: con loro c’erano, tra le altre, Nina Stanzione e la figlia Mirella, Dora Carpanese, moglie di Vero Del Carpio, che era stata arrestata con Alfredo, e Laura Cozzani, moglie del capo partigiano colonnello Mario Fontana. La mattina dell’8 settembre le Paganini e le Stanzione furono condotte in un camion e trasferite a Genova, nel carcere di Marassi, fino al 26 settembre. Poi, in pullman, a Bolzano, e da lì a Ravensbruck, su carri bestiame, per sei giorni e cinque notti”.

L’orrore e la sofferenza vissuti nel campo, giustamente definiti da Bianca “indescrivibili”, emergono comunque dal bellissimo libro “Le donne di Ravensbruck”, una delle prime raccolte di testimonianze di deportate italiane. Le donne Paganini, hanno detto Pagano e Mirabello, “furono protagoniste della straordinaria ‘resistenza minimale’ nei campi: il non lasciarsi andare, il mantenere una scintilla di umanità”.
Il dibattito si è soffermato soprattutto sul ritorno indietro della condizione delle donne nel dopoguerra e sulle difficoltà che ancora oggi persistono. “La Resistenza -hanno concluso gli autori- fece emergere un movimento di consapevolezza femminile che è all’origine di una Costituzione molto avanzata, che mette al centro il principio di eguaglianza, anche tra i sessi. Dopo la Liberazione ci fu il ritorno delle donne nel privato, ma poi, soprattutto negli anni ’70 del Novecento, ci furono tante conquiste nel campo dei diritti. Ancora oggi, però, c’è una cultura che resiste nelle pieghe della società, un’idea della donna che, anche se non trova lavoro, dopo tutto un lavoro ce l’ha ed è la maternità, una concezione della donna come proprietà, che giunge persino al femminicidio. E’ vera, però, anche un’altra cosa: la lotta a questa vecchia cultura, che fa dell’Italia uno dei Paesi più arretrati d’Europa, si può fare solo ancorandosi agli ideali di Bianca Paganini e delle donne della Resistenza. Custodire la memoria è decisivo. Il suo filo è molto esile, va continuamente ritessuto”.

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