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"Lunga vita al Festival della Mente e spero che non cambi mai" In evidenza

L'opinione di una insegnante sarzanese che è stata anche tra i volontari di questa edizione.

Come sa chi mi frequenta, abitualmente non parlo né scrivo di argomenti che non conosco, come ad esempio l’astrofisica o l’economia aziendale. Ma sul Festival della Mente qualcosa posso dire, visto che lo seguo dal 2005, ho scritto parecchie recensioni di eventi per le riviste Le Voci e Glaux e letto un bel po’ di libri scritti dai partecipanti. Quest’anno ho pure fatto parte dei volontari che prestano servizio nei 3 giorni del Festival. E tutto ovviamente “per passione”. La mia più grande passione: la conoscenza.
Da qualche giorno la stampa locale ospita critiche - anche aspre - al festival, che qui non riassumo perché chiunque può andare a leggerle direttamente sui quotidiani e formarsi una propria opinione. La mia la scrivo qui.

 

Il Festival della Mente è la più importante, e temo ormai l’unica, rassegna culturale della nostra provincia: non si esaurisce nella “Lectio magistralis” del venerdì pomeriggio, di solito la più criticata, oltre che la più frequentata (forse perché gratuita), ma propone circa 40 eventi per gli adulti, più quelli per ragazzi, che spaziano in tutti i territori della creatività.
È grazie al FdM che ho potuto conoscere persone come Elliot Ackerman, Alessandro Barbero, Guido Barbujani, Edoardo Boncinelli, Elena Cattaneo, Javier Cercas, James Flynn, Peter Frankopan, Antonio Marras, Andrea Moro, Loretta Napoleoni, Davide Oldani, Telmo Pievani; avvicinare o rivedere Augé, Bauman, Borgna, Caramore, Cavalli Sforza, Demetrio, Farinetti, Ginzburg, Giorello, Mattotti, Pietropolli Charmet, Settis, Veca. Cito a memoria, mi sono solo preoccupata dell’ordine alfabetico, ma avrei potuto nominarne tanti altri.

Date un’occhiata al sito del Fdm: vedrete che in 15 anni ha dato spazio e voce al meglio della cultura internazionale. Poi, certo, i criticoni, che sono come la parietaria (crescono ovunque) diranno che il Festival è la sagra degli editori che vogliono promuovere i loro libri (ottima cosa peraltro), che è radical chic (falso), che è decadente (complimento, anche Oscar Wilde e Thomas Mann lo erano), che non se lo fila nessuno fuori Sarzana (non è vero, lo prova la polifonia di lingue e accenti tra il pubblico), che assomiglia a un fast-food: arrivi, consumi l’evento, torni a casa e non ci pensi più.

Ecco, su quest’ultima critica vorrei soffermarmi perché merita un po’ più di attenzione: un Festival non è un seminario accademico, ma la più attuale forma di divulgazione culturale; la sua funzione è quella di segnalare a un ampio pubblico le novità culturali, accendendo una luce sul dibattito scientifico: spetta a noi raccogliere la sollecitazione e continuare il cammino di conoscenza e approfondimento. In questi ultimi 15 anni la luce per me si è accesa molte volte, e grazie al Festival credo di essere migliorata come insegnante.

Per questo gli auguro lunga vita, e gli dico con affetto e riconoscenza di non cambiare.


Rossella Danieli

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