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Chi ha ucciso Gesù? Ce lo spiega Maria Luisa Eguez In evidenza

di Dayla Villani - L’autrice del saggio ci svela cosa si cela dietro la morte di Gesù e quali intrecci hanno portato alla condanna del popolo ebreo. E sul rischio di un ritorno antisemita, Eguez dice: “Il rischio esiste ancora”.

 

"Gli ebrei sono quelli che hanno crocefisso Gesù", dicevano i cristiani. E’ stata questa la frase che per secoli ha condannato un intero popolo, solo per il fatto di esistere e che, ancor oggi, si manifesta in forme silenziose e non. Ma da dove deriva quest'idea della "colpa collettiva" degli ebrei per la morte di Gesù?
Nel saggio “Chi ha ucciso Gesù?” Maria Luisa Eguez - docente di materie letterarie, scrittrice e poetessa - racconta l’ultima settimana di vita terrena di Gesù prima della sua crocefissione mettendo in scena i protagonisti di quei tempi che hanno cambiato la storia del mondo: romani, erodiani, sadducei, farisei, pubblicani, zeloti, discepoli del Galileo. Un mondo in grande fermento, in bilico fra una deriva politeista per l’influenza del pensiero ellenistico e un’insurrezione nazionalista che minaccia di esplodere di colpo da un momento all’altro.

Da dove nasce l’idea e questo lavoro?
Affonda senz’altro le radici nel mio impegno per il dialogo ebraico-cristiano, che porto avanti con il Gruppo Samuel da più di vent’anni. Ma anche – e questo l’ho scoperto solo quando ho avuto il libro stampato fra le mani- da un episodio della mia attività di insegnante. Avevamo spesso a Lerici come studenti figli di scienziati della Nato. All’inizio di un anno scolastico arriva dagli USA una ragazzina molto intelligente e vivace. Alle udienze generali di Natale ne conosco la madre che, senza preamboli, mi dice: “La ringrazio, professoressa, per come ha spiegato l’ebraismo. Sa, mia figlia aveva paura di essere accusata di aver ucciso Gesù”. Per me è stata un’emozione molto forte: non sapevo neanche che fossero ebrei, ma l’idea di una bambina di undici anni, che era venuta in Europa ancora terrorizzata da quell’assurda e infamante accusa di deicidio, mi ha fatto riflettere ancora di più sulle conseguenze dell’antisemitismo e della Shoah. Ne è nata una bellissima amicizia che dura tutt’ora.

Qual era il reale clima di quell’epoca e quali processi politico-sociali hanno innescato la costruzione di una visione antisemita a spese di milioni di morti?
I romani erano tolleranti coi popoli che si lasciavano assorbire dalla loro cultura: bastava che lavorassero per loro, pagassero le esorbitanti tasse e accettassero il giogo della pax romana, ovvero non coltivassero velleità rivoluzionarie. Erano disposti ad assorbire gli dèi delle altre genti nel proprio Pantheon, tanto dio più o dio meno non faceva loro grande differenza. Ma il Dio unico degli ebrei sì, proprio perché gli ebrei ne proclamavano l’unicità e si rifiutavano di riconoscere nell’imperatore una divinità: abominevole per loro adorare un uomo. E questo era molto grave per i romani, per i quali gli ebrei erano di conseguenza irriducibili ribelli che non riconoscevano l’autorità imperiale.

Quindi, chi realmente ha ucciso Gesù?
I romani, come sta scritto nel verdetto ufficiale trilingue fatto apporre da Ponzio Pilato sulla croce, “Gesù Nazareno re dei Giudei”: nome dell’imputato, origine territoriale (quindi sotto la giurisdizione delegata a Erode Antipa tetrarca di Galilea) e motivazione: re, cioè a capo di una aperta ribellione contro la dominazione di Roma. Proviamo a pensare: se noi italiani, oggi, fossimo ancora perseguitati come discendenti di chi ha ucciso Gesù? Lo riterremmo francamente assurdo, ma non nel caso del pregiudizio contro gli ebrei. Eppure Gesù, sua madre, i suoi apostoli e discepoli erano (anzi, sono) tutti ebrei. L’antisemitismo, per i cristiani, è un omicidio nei confronti dei propri “antenati” e quindi una forma di suicidio spirituale e storico. Cito, ultimo in ordine di tempo, papa Francesco: «È una contraddizione che un cristiano sia antisemita. Le sue radici sono ebree: un cristiano non può essere antisemita. Coltivare sentimenti antisemiti è una grave offesa a Dio» (udienza con il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, 2013).

Cos’è cambiato dopo Auschwitz?
Dopo Auschwitz i cristiani, volenti o nolenti, hanno dovuto fare i conti con le proprie radici e la propria identità. Per la Chiesa cattolica c’è stata la pietra miliare del Concilio Vaticano II con la proposizione conciliare “Nostra Aetate”: è un cammino irreversibile percorso in più di mezzo secolo ed in continuità da ben già sei papi. Tuttavia quello che è dato ormai per scontato negli atenei, fra biblisti e teologi, non ha ancora avuto un capillare radicamento a livello di base, dove permangono credenze errate e frasi fatte. Del resto, cinquant’anni contro duemila resta, nonostante la globalizzazione, un divario faticoso da colmare.

La crisi ha fatto riemergere fantasmi del passato, c’è il rischio di un ritorno antisemita? Quali responsabilità e quale ruolo dovrebbe o potrebbe avere la Chiesa in questo senso?
Sì. Gli storici espongono le fasi dell’antisemitismo con un diagramma a onda: dopo Auschwitz, per l’effetto shock e il conseguente senso di colpa, il livello era il più basso possibile; ora l’onda è già risalita paurosamente, anche per effetto della propaganda islamica. Anche questo è paradossale: sia ebrei che arabi sono entrambi popoli semiti, ma l’antisemitismo è solo a senso unico, contro gli ebrei.
La Chiesa cattolica ha fatto passi da gigante nel dialogo. È importante sottolineare come il Vaticano II ha individuato tre distinti ambiti di dialogo: ecumenico (con gli altri cristiani), ebraico-cristiano e interreligioso (con tutte le altre fedi). Il dialogo ebraico-cristiano, in quest’ultimo secolo, ha avuto come effetto collaterale, non preventivato ma molto positivo, di favorire quello ecumenico, data l’identità della radice. La Chiesa cattolica si pone ora come mediatrice e autorevole punto di riferimento anche nel dialogo fra i tre monoteismi e contro la deriva fondamentalista che ieri le è stata propria (vedi le Crociate) e ora è tipica di certe frange dell’Islam.

Quale messaggio vuole comunicare al lettore?
Dialogo ad oltranza, se vogliamo vivere in un mondo di pace. Ma, ancor prima, è necessario partire da se stessi: decostruire le frasi fatte e i processi mentali assolutizzanti sarà anche un po’ faticoso ma è indispensabile per aprirsi a nuovi ed appassionanti orizzonti. E perciò informarsi, leggere. Libri come questo, appunto!

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