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Fourteen ArTellaro: al via la terza edizione In evidenza

Sabato 12 maggio la presentazione allo Spazio 32 e il primo appuntamento della nuova edizione. 


A pochi mesi dalla chiusura dell'edizione "Eppur si muove", la rassegna d'arte è già pronta ad un nuovo inizio con “La superficie accidentata”. Per l'occasione, considerato il successo e la natura del progetto, questa terza edizione sarà introdotta da una presentazione allo Spazio 32, durante la quale verrà raccontata anche l'attività di osservatorio indipendente per l’arte contemporanea. 
"Verranno presentati i presupposti per cui nasce lo spazio e gli artisti partecipanti alle tre edizioni attraverso una discussione partecipativa coadiuvata da immagini, concetti e produzione cartacea- racconta Gino D'Ugo, curatore e ideatore del progetto-  La presentazione verrà introdotta da Guido Ferrari come promotore del progetto; ne discuterò con Massimo Mazzone, artista, portavoce di
Escuela Moderna/Ateneo Libertario (con cui lo spazio collabora) e docente di scultura dell’Accademia delle Belle Arti di Brera. La terza rassegna inaugurerà lo stesso giorno, alle ore 19.00, sempre nello lspazio Fourteen nel borgo di Tellaro con l’esposizione Dell’azione negatrice di Mauro Folci".

FOURTEEN ARTELLARO, TERZA EDIZONE 

Il caratteristico atteggiamento omologatorio che ben contraddistingue questo tempo dove la regola, la legge, la procedura, l’atteso e il suo semplicistico risolversi che lascia sommerso un universo interiore inespresso, va molto più in là a ritroso nel tempo e fa sembrare oggi idee e pensieri espressi già negli anni 70 da pensatori come Pasolini e artisti come Beuys o Haacke come premonizioni.
“Nella gioventù portò avanti una rivolta contro il mondo, contro il quale si scagliò con buoni sentimenti in fondo, ma il suo trasumanare fu vuoto della grazia e della bellezza della tradizione, il lungo cammino di umanità fatto di costruzione paziente e di lingua viva non stereotipata da derive ideologiche. La sua lotta si tramutò in prassi e la disobbedienza ben presto in inconsapevole obbedienza ad un nuovo ordine borghese che l'avrebbe fagocitata e disperso ogni velleitarismo”. (P.P.P.)
L’odierno conferma i concetti già espressi di una rivoluzione di idee strettamente funzionale che negli anni 70 nasceva contestando la borghesia e il perbenismo, con un quasi completo annullamento di valori della precedente generazione.
Ma la prassi, e il tempo ne è testimone, riadottava pratiche e clichè di tipo perbenistico e omologatorio oltre che di cancellatura di valori anche positivi della tradizione, esclusivamente perché detti valori erano associati alla generazione precedente. Si concretizza oggi, in tutti i settori, il risultato di una società ricostruita con la finta espressività dello slogan, come conviene a una società di massa, dove il singolo ha la colpa di essersi attenuto all’ordine degradante dell’orda.
L’atteggiamento del prendere una posizione sembra fosse diventata la nuova parola d’ordine, anche di fronte a possibilità aberranti dove gli idioti si riuniscono in democrazia contro individui liberi e inventivi tacciandoli di essere scollati dagli accadimenti.
Ma cosa è oggi di questa realtà, in mano alla mediocrità, solidificata e asservita al buisness? Appiattimento e disperazione.
Una società che si costruisce su un infinità di regole ma dove non si tiene conto dell’etica dell’individuo è come una mappa che non permette di scoprire un luogo, con i suoi anfratti, i suoi odori e i suoi chiaroscuri. L’uniformità piatta e regolamentata che rende tutti uguali odora tanto di totalitarismo.
In tutto questo, l’arte ha il ruolo importante dell’interpretazione, della denuncia, ma anche della protezione delle cose essenziali.
L’arte non ha niente a che fare con la democrazia, mal si adatta a regole e imposizione e se il pubblico ha bisogno di mediocrità, l’arte tende all’invenzione , alla tensione e al disaccordo, allo scontro delle diverse opinioni e visioni, alla differenza. Si muove in territori sconosciuti e distanti dal consenso universale e poco si accorda con l’autocompiacimento per la propria miseria spirituale in cui il perbenista galleggia.
La superficie accidentata è una superficie che non presenta più la caratteristica dell’immacolato, del semplice, dell’inespressivo e del vacuo. Ha i segni e la memoria di accadimenti, è un luogo sconnesso e impervio, ha i suoi rilievi e le sue profondità, le sue scomodità se non i suoi tormenti. Spalanca le finestre e abbatte le superfici per vedere cosa c’è dentro se non dietro. Non consente che qualsivoglia cosa attecchisca facilmente e maggiore è la sua profondità maggiore diventa il lavoro volto a svelare i suoi enigmi e le sue memorie. Così la white box di Tellaro si prepara all’accidente creativo o forse a svelare accidenti sociali e psicologici del nostro quotidiano o del nostro remoto.

Mauro Folci / Dell’Azione negatrice

È una lastra di ottone con incisa la scritta, non è vero che non. Realizzata da Mauro Folci nel 2008 in occasione di un seminario in un liceo artistico di L’Aquila. Successivamente, nel 2014, esposto allo Space 4235 di Genova come opera unica dell’omonima mostra personale.
Anche qui Non è vero che non è la sola opera esposta e trovo che sia il modo concettualmente più giusto per iniziare la nuova rassegna di Fourteen ArTellaro, La superficie accidentata.
Il principio è la parola e il principio deriva dalla negazione, le tenebre.
Quello che non c’è e da cui tutto può avere un inizio, e se in principio era il verbo, questo nasce da un mugugno o da un urlo, che serve a spiegare ciò che non si vuole.
Pensare, vuol dire pensare un’impotenza, vuol dire pensare nella mancanza, è nel segno negativo che il pensiero sorge, da una negatività originaria senza la quale non è possibile alcun esercizio cognitivo. Heidegger, a proposito degli stati d’animo come la noia o l’angoscia, diceva una cosa simile, è in questa condizione esistenziale regressiva fin dove il mondo e il tempo si congedano da noi
che si fa esperienza dell’aperto, dell’ultrapotenza, è lì che è possibile filosofare.
Il più costruttivo momento della crescita mentale di un bimbo e della sua esistenza è il momento del no, la messa in discussione di ciò che è propinato dal mondo esterno e in particolar modo prima dai genitori, poi dalla società.
È con il no che si prendono le distanze e le successive misure dalle cose e dagli altri, ed è con il no che si crea la propria coscienza di ciò che è intorno a noi.
Volgendo lo sguardo più indietro, alla scena primordiale del positivismo illuminista, Adorno racconta per mezzo dell’Odissea della negazione che caratterizza l’alienazione del sé/natura da un fuori sorretto dalla logica della ragione. Un’aspra dialettica che naturalmente ci portiamo dietro, un’estenuante resistenza al richiamo dell’indistinto naturale, ai Lotofagi, alle Sirene, ai Ciclopi, a
Circe, che ci dice come la storia propriamente umana abbia avuto inizio con un disconoscimento, con una separazione, con un atto di negazione dei propri caratteri naturali. La nostra è la storia di questo esodo.
“La vera espressione della potenza è deducibile solo dalla facoltà di non passare all’atto. La potenza è sempre una potenza-di-non, è un trattenere, è una facoltà anestetizzata, è una decisa impotenza, è indissolubilmente legata alla possibilità di non passare all’atto, il suo codice genetico è non, una negazione.
Il non ha una natura anfibia perché, se da un lato è espressione di un mancato riconoscimento, dall’altro si presenta come unico antidoto al non riconoscimento: “non è vero che non”. La negazione è il farmaco del linguaggio, è il rimedio per il veleno che essa stessa inocula nella comunicazione tra gli umani.
Si deve ricordare lo statuto particolare della negazione che, perché funzioni, ha bisogno di riferirsi all’oggetto negato riconoscendogli in questo modo una possibilità di essere diversamente: oltre al rischio di un mancato riconoscimento, oltre ad essere il motore di ogni disobbedienza e di ogni devianza dalle norme, il non è anche il dispositivo che può sospendere il conflitto, rimandandolo in un
tempo a venire.
la visione soggettiva fortemente posizionata, non dialettica e per nulla democratica: NON E’ VERO CHE NON si può vivere senza re e senza padrone”. (m.f.2008)
Il “Non è vero che non“ trasforma e da forza al NO, ma anche al SI. Allora la negazione diventa asserzione.
Quando, per esempio, il nazista dice all’ebreo “tu non sei un uomo” relegandolo al nulla per una sua volontà di annientamento e supremazia l’unica rivalsa verbale dell’ebreo non può essere che dire “non è vero che non sono un uomo” affermando se stesso e facendo della propria allocuzione un SI alla vita, un SI all’esistenza.
Allora il SI appropriandosi della sua sostanza ha tutta la potenza del primigenio NO con il carattere dell’affermazione.
Qui, nello spazio Fourteen ArTellaro la doppia negazione viene messa in relazione e dentro un contesto di ricerca, avviato da un paio di anni da Folci, che è la fine dell’Azione negatrice, espressione più efficace e con maggiori articolazioni dell’abusata fine della storia.

Artisti Partecipanti:  Paolo Assenza / Christian Ciampoli / Giovanni Gaggia / Mauro Folci / Alessandro Brighetti / Davide Dormino /Caterina Silva / Corinne Mazzoli / Marina Paris / Iginio De Luca / Igor Grubic Radio Zero.

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