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Marco Martinelli e la "non scuola" In evidenza

"E' il mettere in corto-circuito la vitalità dei ragazzi e i loro sogni". Stasera la replica dello spettacolo conclusivo del progetto "Play!"


In occasione dell’evento finale di “Play!”, il progetto teatrale promosso dalla Fondazione, che ha coinvolto 150 studenti delle scuole superiori della provincia della Spezia e della Lunigana, Marco Martinelli – ideatore della pratica teatral-pedagogica della non-scuola e fondatore con Ermanna Montanari del Teatro delle Albe di Ravenna, partner del progetto assieme all’Associazione Gli Scarti – racconta il percorso che ha portato alla realizzazione dello spettacolo "La nuvola in calzoni", in programma anche stasera, giovedì 3 maggio, al Teatro Civico della Spezia.

Che cos’è la non-scuola?
La non-scuola è un metodo di lavoro con gli adolescenti che abbiamo inventato 25 anni fa a Ravenna e che da lì si è propagato in tutta Italia e anche all’estero.
E’ il “mettere in corto circuito” la vitalità dei ragazzi, la loro fame di vita, i loro desideri, i loro sogni, le loro paure, tutto quello che tante volte non rivelano, che tengono per sé e nascondono agli adulti. Metterli in corto circuito con i classici, i grandi testi della tradizione teatrale – come dico sempre – vuol dire sfregare due legnetti uno sull’altro per ottenere il fuoco, come da metodo antico.
Per “non-scuola” quel che intendiamo è una non-scuola di teatro. Non vogliamo che i ragazzi lavorino con noi pensando di trovarsi in un talent-show del teatro: non stiamo cercando i talenti, questo non ci interessa, non ci sono provini o audizioni o selezioni. A noi interessa che tutti quelli che vogliano possano fare la non-scuola, perché ogni essere umano ha in sé la teatralità. La teatralità ci è connaturata: noi ci muoviamo nello spazio, parliamo, ci arrabbiamo, abbiamo sentimenti. In un certo senso recitiamo sempre, anche quando non pensiamo affatto di recitare. Quindi è proprio questa caratteristica universale, presente in tutta l’umanità, che la non-scuola va a tirare fuori, e lo fa attraverso il gioco, che è una delle attività più serie che l’umanità conosca, quella in cui l’umanità si impegna sempre con molta disciplina. I giochi sono fatti anche di regole, sono fatti di attenzione e, in questo senso, sono fortemente educativi.

Come si appassionano i ragazzi ai classici?
Prima di tutto bisogna saperli ascoltare. Prima ancora di cominciare a parlare tu, devi far sentire ai ragazzi che li stai veramente ascoltando e prendendo sul serio. Non sei lì per buttargli dentro delle nozioni, delle informazioni, ma sei lì per creare una relazione con loro. Una volta fatto questo, che si fa attraverso il gioco e attraverso i primi incontri, in cui non si parla ancora di Aristofane o di Shakespeare ma si crea una forte relazione fra tutti, allora l’“andare dentro” al classico parte non tanto dalla lettura integrale di un testo ma dalla scrittura di una trama, dall’input che può dare una storia. Per esempio, Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare è la storia di alcuni amanti che di giorno amano qualcuno ma, quando si trovano nella notte, sotto le magie di Puck, cominceranno ad amare qualcun altro, e questo creerà una grande confusione. Quindi: l’amore tra il giorno e la notte non è sempre lo stesso. Se tu racconti questo agli adolescenti e chiedi se anche a loro risulti questa cosa, nella propria esperienza, cominci a ricevere tantissimi racconti e tantissimo entusiasmo, perché quello è il punto di “messa in vita”. E’ il punto in cui i ragazzi capiscono che non devono fare un “classico”, “barboso e noioso”, ma devono entrare in una storia e appropriarsene, farla loro. Questo è il punto fondamentale, da cui nasce tutto. Ci sono molti altri passi dopo, per arrivare alla messa in scena, ma questo è il punto decisivo, quello che deve riuscire, perché poi abbia senso arrivare allo spettacolo.

Ci può parlare dell’evento finale che sarà replicato questa sera al Teatro Civico?
Lo spettacolo di questa edizione di Play! è la “messa in vita“ de La nuvola in calzoni, un poemetto del giovane Majakovskji che abbiamo messo in scena costruendo con i ragazzi – perché questo poemetto non ha una trama, non è Edipo o Amleto, ma una cascata di versi bellissimi – una partitura di gesti, musiche, canti, invenzioni anche divertenti che loro stessi hanno creato. Devo dire che siamo tutti molto contenti del fatto che il testo di un poeta scomparso un secolo fa possa risuonare sulle bocche di questi ragazzi come se loro lo avessero inventato oggi, è il risultato che sogniamo ogni volta che facciamo questo lavoro. Il rapporto con i ragazzi di Play! è stato splendido, così come lo è in ogni luogo in cui andiamo, che sia Noto, Lamezia, ecc: gli adolescenti non aspettano altro che gli adulti li prendano sul serio.


Marco Martinelli, drammaturgo e regista, ha fondato nel 1983 insieme a Ermanna Montanari il Teatro delle Albe di Ravenna. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti tra cui il Premio Ubu (1996, 1997, 2007, 2013, 2017) e il Premio alla carriera del festival Journées théâtrales de Carthage (2009). Presso Ponte alle Grazie è apparso Aristofane a Scampia (2016).

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