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Gli animali e i paesaggi africani negli scatti di Catherina Unger In evidenza

Mercoledì 14 marzo sarà inaugurata la mostra "L'Africa come in un sogno".

Mercoledì 14 marzo seconda giornata di “Marzo africano”, iniziativa organizzata dall’Associazione Culturale Mediterraneo: alle ore 17 all’Urban Center (via Carpenino) verrà inaugurata la mostra “L’Africa come in un sogno” di Catherina Unger”, che sarà visitabile fino al 31 marzo. Nell’occasione verrà proiettato il film “Il suo nome è Tsotsi” di Gavin Hood. L’iniziativa ha il patrocinio del Comune della Spezia: l’assessore alla Cultura Paolo Asti porterà il saluto dell’Amministrazione.

Protagonisti della mostra sono gli animali selvatici che si muovono nella natura incontaminata, i panorami mozzafiato che si estendono fino all’orizzonte senza che l’occhio venga “disturbato” da qualche segno di presenza umana. Paesaggi che sembrano invariati dall’inizio di tutti i tempi. L’uomo, lì in mezzo, diventa più piccolo, perde la sua onnipotenza, viene ridimensionato e spinto a ricordarsi le sue origini. Questa è l’Africa che cerchiamo quando intraprendiamo un safari o un viaggio in un paese come la Namibia o il Botswana. Esiste ancora, quest’Africa, sempre di meno. Ed è un mondo parallelo. Come in un sogno.

Il film “Il suo nome è Tsotsi” è la storia di in ragazzo senza nome, chiamato semplicemente “Tsotsi”, che nel linguaggio di strada dei ghetti del Sud Africa significa “gangster”, a capo di una banda di giovani criminali, assassini disperati e incoscienti. Una notte, approfittando di un’opportunità offertagli dal caso, Tsotsi ruba la macchina a una donna dopo averle sparato. Quando si accorge che nell’auto c’è il figlio della donna, un neonato di tre mesi, la sua vita non sarà più la stessa. “Il suo nome è Tsotsi”, vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero nel 2005, mescola la materia del thriller con quella del viaggio psicologico interiore, riuscendo in una perfetta sintesi dei due elementi. Tratto dal romanzo “Tsotsi” del drammaturgo sudafricano Athol Fugard, uno scrittore da sempre impegnato contro l’apartheid e la ghettizzazione delle comunità di colore del suo paese, il film racconta la riscoperta di alcuni dolorosi ricordi da parte del protagonista, e pone degli importanti interrogativi: da dove nasce il suo comportamento criminale? Una redenzione è possibile? Il film riesce a conservare la particolarità delle proprie origini: individua le cause della criminalità (povertà, l’emarginazione, violenza... che sono globali), ma le racconta rimanendo fedele alla cultura del Sud Africa. E’ questa la caratteristica che gli ha permesso di raccogliere straordinari successi di pubblico in numerosi festival cinematografici internazionali e un meritato Premio Oscar: mantenere il particolare nell’universale.

Alla Mediateca di via Firenze è visitabile la mostra fotografica “Afriche. Immagini e voci” di Marco Aime.

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