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Lerici: 1 spazio, 5 artisti e 10 settimane In evidenza

di Doris Fresco- Lotario Farina, Chiara Chiappini, Stefano Guercio, Walter Bilotta e Carlo Bacci: sono loro i 5 artisti invitati dalla Lega Navale per la mostra di pittura e fotografia dedicata agli Artisti del Territorio.


Un evento unico, ma dedicato agli artisti, che quindi hanno differenze e peculiarità che renderanno le loro esposizioni, della durata di due settimane, uniche. Nessun tema comune dunque e nessuna direttiva da seguire: semplicemente cinque artisti locali, fortemente radicati nel territorio e dal talento riconosciuto, che hanno accettato l'invito della Lega Navale e del Comune di Lerici per riempire uno spazio con la loro arte, in piazza Garibaldi 30. Ogni esposizione verrà presentata con un vernissage.

"Il nostro obiettivo- racconta Maurizio Moglia, presidente della sezione Lerici della Lega Navale- è la promozione e la conoscenza del mare e di tutto il nostro territorio, crediamo quindi che puntare anche sull'arte sia importante per il nostro scopo. Abbiamo messo a disposizione questo spazio, con la volontà di regalare qualcosa di bello ai nostri concittadini e ai nostri visitatori".

Dunque una spinta all'arte locale, così come è nei piani di questa amministrazione, secondo quanto ribadito in occasione della conferenza stampa di presentazione questa mattina, 20 luglio, dal sindaco Leonardo Paoletti: "Io personalmente, ma anche come sindaco, ho la certezza di vivere in un posto meraviglioso: molti dei nostri concittadini sono artisti affermati e di altissimo livello; altri, come il Maestro Ogata, non è originario di qui, ma qui ha scelto di vivere e questo non può che renderci orgogliosi, facendoci capire quanto sia importante per Lerici puntare sulla cultura e sull'arte".
Un rapporto stretto quindi quello tra territorio e cultura, di cui il sindaco ha parlato molto questa mattina, sia presentando l'evento della Lega Navale, sia parlando di progetti futuri, come la destinazione di Casa Doria: "Abbiamo tantissimi reperti di altissimo valore storico e culturale, come le giacche rosse garibaldine, la mia idea è che possano trovare un luogo espositivo degno. Con l'ausilio di tecnologie d'avanguardia, come supporti informatici, in questo luogo potrebbe essere possibile consultare e conoscere le biografie degli artisti locali, la storia del territorio e le bellezze che abbiamo a Lerici. Credo che Casa Doria potrebbe essere il luogo ideale, vista anche la posizione strategica".

Altri progetti per la valorizzazione della cultura locale, presentati dal sindaco oggi, potrebbero essere due nuove sculture da posizionare in altrettanti punti strategici: una, sempre del Maestro Ogata, dovrebbe essere esposta alla Serra, così come proposto dal comitato della Sagra della Lumaca, mentre l'altra, del Maesto Bacci, verrà esposta nella rotatoria di ingresso a San Terenzo. "Siamo molto contenti anche per questi due progetti, ancora in divenire, ma molto promettenti, perchè le due sculture saranno sicuramente valori aggiunti per rendere omaggio alla bellezza dei nostri borghi e del nostro territorio".

Infine anche qualche indiscrezione in più sul Red Carpet che, come confermato, arriverà nei prossimi giorni, ma che dovrebbe essere allestito non in passeggiata, come si pensava, ma nella strada interna al borgo, tra il Poggio ed il Castello.
"Dire che il nostro è il Golfo dei Poeti senza una attenta promozione e valorizzazione del nostro patrimonio artistico è inutile", conclude il sindaco Paoletti.

PROGRAMMA
Lotario Farina, espone dal 22 luglio 4 agosto

Lotario Farina è nato a Lerici il 5 novembre del 1939. Dopo aver conseguito il Diploma Nautico e navigato per mare, approda a Milano. Assunto alla IBM come analista programmatore, frequenta per anni un corso di pittura presso l’Istituto Cova, apprezzato allievo di Amanullah Parsa, un pittore afgano che per molti anni ha lavorato in Italia e che oggi vive i suoi successi artistici negli USA. Sarà proprio il maestro di Kabul ad accorgersi dell’energia espressiva dei lavori di Lotario e spingerlo a caratterizzare le sue opere con la carica cromatica e narrativa che oggi possiamo ammirare. Agli occhi di chi osserva le sue opere, la pittura di Lotario Farina, appare fin da subito istintiva, le pennellate corpose, generose e libere, i colori accesi, brillanti, quasi sconosciuti alla natura, paiono mettere in secondo piano il soggetto. Forse per questo, le opere di Lotario vengono spesso avvicinate alla pittura del gruppo dei Fauves, presenti in Francia agli inizi del ‘900. Ma se è la forza del colore a catturare l’attenzione, le emozioni che inevitabilmente seguono, restituiscono il senso di un’opera
viva, di una realtà inimitabile, che pongono Lotario in una dimensione personale, non catalogabile. Lotario non dipinge plen air, i suoi sogetti sono visionari ripescaggi della memoria che prendono corpo, rivivono, si riaccendono, dando vita a veri e propri racconti di colore, dove prevalgono le luci dei paesaggi mediterranei, del mare dell’infanzia, dei giardini, delle palme, delle ville, dei carugi di un golfo che è casa.

Chiara Chiappini, espone dal 5 agosto al 18 agosto

Chiara Chiappini nasce a Sarzana nel 1994. Dopo aver frequentato il Liceo Artistico Cardarelli alla Spezia si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Carrara, dove si diploma in pittura nel 2016. Coniuga l’amore per la pittura con quello per il restauro, partecipando a workshop sulla conservazione di opere pittoriche e cartacee. Allieva di Eliseo Andriolo e Giovanni Chiapello, dopo una breve parentesi espositiva a Roma e Firenze, decide di affiancare alla formazione artistica quella critica. Attualmente è iscritta all’Accademia di Belle Arti di Brera dove frequenta il biennio specialistico in Visual Cultures e pratiche curatoriali. Profondamente influenzata dall’attenzione ai dettagli della pittura fiamminga e dalla forza cromatica ed espressiva caravaggesca, realizza opere dove luce e colore regnano sovrani e dove gli oggetti rimandano ad un’atmosfera nostalgica. “Il verismo mimetico e illusionistico è estremo e raffinato, ma non esaurisce il senso del quadro. Sotto il loro guscio materiale di tele, tavole, immagini e colori le cose dipinte nascondono valori simbolici, congiungono il visibile rappresentato all’invisibile assente.” Remo Bodei da La vita delle cose.
Nature morte, solo letteralmente. La natura è viva, gli oggetti non sono inerti, ci parlano di sé, di noi e del mondo. L’oggetto diventa soggetto, solista, autore, proprietario. Il concetto di possesso legato all’oggetto è scardinato, capovolto, non esiste più presenza umana concreta, ma solo indiretta, celata, intuita. L’oggetto si trasforma, si fa cosa, richiama l’attenzione su di sé, si ribella all’abitudine, all’inetto. In un mondo dominato dall’eccesso, gli oggetti trovano rifugio nella bellezza, si caricano di un’aura magnetica e si lasciano osservare. La contemplazione solleva l’oggetto dal mondo terreno, destinato con la pittura a rimanere eterno, simbolicamente sottratto alla maledizione dell’effimero che permea il mondo.

Stefano Guercio, espone dal 19 agosto al 1 settembre

Stefano Guercio è un osservatore obiettivo, analitico, acritico. La forza della sua pittura risiede nella sospensione di giudizio verso i soggetti ritratti. Coglie l’essenza delle espressioni senza aggiungere orpelli, sovrastrutture. I personaggi ricordano le figure di Hopper; ognuno di loro è assorto, concentrato tra pensiero e azione; intenzione. I momenti descritti sono intensi, realistici ma sospesi nel tempo da apparirci quasi surreali. I colori saturi assumono doppio valore: in primis si caricano del peso della composizione figurativa e, immediatamente si riempiono di significato; come le carnagioni dei pescatori arse al sole, simbolo del lavoro che si fa rituale. Chiunque potrebbe essere un perfetto ritratto di Stefano, immerso nel mondo dell’inconscio, preso dalle piccole questioni quotidiane che si traducono in un eterno gioco tra logorio ed evasione. L’acume della sua ricerca s’incentra nella contraddizione insita del nostro periodo storico, nel tentativo di un’evoluzione di uno stato dell’essere che può, ma tutto sommato, non vuole.

Walter Bilotta, espone dal 2 settembre al 15 settembre

Un occhio consapevole, quello di Bilotta, affettuosamente intenso e partecipe quando ritrae la vita e l’operosità della sua gente: lo sguardo non è solo quello neutro e professionale del fotografo, che pure si rivela nella tecnica impeccabile, ma quello di chi, attraverso le immagini, dice anche qualcosa di sé. L’occhio che sa cosa guardare e inquadrare e dà un senso a ciò che osserva in modo da trasformarlo in un racconto dall’interno, mostrandoci un piccolo universo fatto di presenze umane, di volti indagati anche nel dettaglio più impietoso, di angoli, pietre, atmosfere. Una ricerca non priva di naturalezza che si fa cultura e che ci trasmette non realtà astratte ma intime, legate alla vita e all’esperienza comune. Ciò che si vede negli scatti di Bilotta dedicati ai paesaggi o a momenti e gesti fissati un attimo prima del loro mutare non è il reportage, come se di quel dato luogo o di quel particolare gesto si potesse dare una documentazione obiettiva. Bilotta posa il suo sguardo - e ci invita a farlo con lui - sulle stesse cose che tante volte anche noi abbiamo guardato senza soffermarci, spingendoci a cercare quella difficile sintonia con il soggetto rappresentato che permette di varcare la soglia che normalmente separa chi guarda dalla cosa guardata. Può essere allora che davanti a una sua fotografia si
vivano delle piccole epifanie che trasfigurano l’esistente e ci riconciliano con il mondo attorno a noi, portandoci a riconoscere un’appartenenza che credevamo di aver dimenticato.

Carlo Bacci, espone dal 16 settembre al 30 settembre 

Carlo Bacci, scultore e pittore, lavora da più di 25 anni in questo territorio dove è nato e la sua opera è inevitabilmente legata alle sue caratteristiche che ben conosciamo. Attraverso l’attenta osservazione e la trasformazione, al di là dei colori, dei più svariati materiali che la sua terra gli ha offerto, è riuscito in questa forma essenziale a racchiuderne la storia, la complessità, la forza e la bellezza.
Questa scultura è la forma del nostro mare, severo ed eretto, come le nostre falesie ricche di bellezza e profumi, essenziale come la gente di qua.
La linea racchiude una forma austera ma aperta, una sorta di accoglienza, spiraglio verso il nuovo, due vele per il vento del golfo e un foro per invitarci ad aprire la nostra mente e guardare lontano, oltre la durezza della pietra che rende la forma reale. (testo S. Storace)

 

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