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All'aperto, nel rispetto delle normative sul distanziamento.

Dopo la proiezione de “Il Barone di Münchhausen” del 21 febbraio scorso e l’interruzione a causa dell’emergenza coronavirus, il Cineforum ACIT riparte all'aperto, nel rispetto delle normative sul distanziamento. Tutte le proiezioni avranno luogo alle ore 21:30 presso il cortile esterno del Centro Dialma Ruggiero, via Monteverdi 117, La Spezia.
Ingresso libero.
Si consiglia la prenotazione al seguente indirizzo email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 

“Ceralacca, bastimenti, cavoli e potenti”- Il cinema come Wunderkammer- Seminario di lettura filmica a cura di Giordano Giannini
- In collaborazione con Comune della Spezia - Servizi Culturali e con il gentile contributo del Goethe Institut.
- Giovedì 16 luglio- La grotta dei sogni dimenticati  (Die Höhle der vergessenen Träume), Canada / Francia / Germania 2010, regia Werner Herzog, 86’. Versione in lingua italiana.
- Giovedì 23 luglio- Il gabinetto delle figure di cera (Das Wachsfigurenkabinett), Germania 1924, regia Paul Leni, 83’. Pellicola muta con didascalie in lingua italiana.
- Giovedì 30 luglio- Paracelsus, Germania 1943, regia Georg Wilhelm Pabst, 102’. Versione originale tedesca con sottotitoli in lingua inglese.
- Giovedì 6 agosto- Il misterioso castello nei Carpazi, Repubblica Ceca 1981, regia Oldřich Lipský, 94’. Versione originale ceca con sottotitoli in lingua italiana.
- Giovedì 20 agosto- Faust, Repubblica Ceca / Francia / Regno Unito 1994, regia Jan Švankmajer, 92’. Versione inglese con sottotitoli nella stessa lingua.

Con il documentario La grotta dei sogni dimenticati (2010) Werner Herzog esplora la grotta Chauvet (Vallon-Pont-d’Arc, Alvernia), suggestivo sito d’arte paleolitica, mostrandoci come le pitture rupestri testimonino un’ancestrale tensione a voler rappresentare il movimento, quasi avessero un conato di linguaggio filmico. Le intuizioni spirituali di uomini vissuti 32.000 anni or sono possono ancora far impallidire il mondo moderno.
Il gabinetto delle figure di cera (1924) segnò l’apice della creatività di Paul Leni, indimenticato autore de L’uomo che ride. Strutturata ad episodi, la pellicola (incompiuta, purtroppo) segue da vicino le gesta di quattro statue di cera - esposte in un baraccone e raffiguranti personaggi storici, del folklore o della letteratura - che prendono vita attraverso i fantasiosi racconti di un giovane poeta: il califfo Hārūn al-Rashīd, Ivan il Terribile, il brigante Rinaldini e Jack dai Tacchi a Molla. Immagini (di Helmar Lerski) e scenografia (dello stesso regista) restano “fra i massimi risultati dell’espressionismo tedesco, stranianti e imponenti, articolati e stupefacenti: il palazzo con intrecci di scale e torri, la stanza da letto alta come una cattedrale e la terrazza circolare a scacchi, la casa del panettiere piccola, povera e deforme, dal soffitto basso e buio, dove chi vi entra sembra entrare in uno spazio fisico e vivente” (AA.VV., ‘emutofu.com’).

C’è chi sostiene che i film “parlati” di Georg W. Pabst siano inferiori quelli dell’era del muto. Opere come Lulu e Diario di una donna perduta rimangono i suoi capolavori, è evidente, nondimeno Paracelsus (1943), al pari de L’opera da tre soldi e La tragedia della miniera, meriterebbe una rivalutazione. Stiamo pur sempre parlando di una delle cine-biografie più discusse e popolari realizzate sotto il Terzo Reich. “Il nostro nemico è la morte” ripeteva agli occasionali discepoli il noto filosofo e guaritore vissuto nel XVI secolo, presentato dal copione, in conformità con i dettami di regime, come una figura tracotante, quasi ‘faustiana’, ostile a qualsiasi forma di oscurantismo, in medicina come in politica; una guida lungimirante a cui tutti devono rivolgersi quando miseria e sofferenza bussano alla loro porta. La sequenza della danza macabra, che simboleggia il “trionfo” della peste nera a Basilea, è passata alla storia del cinema europeo.

Il conte Franz de Télek vaga nei Carpazi in cerca della sua fidanzata Stilla, una famosa cantante lirica scomparsa misteriosamente dopo un concerto. Giunto in un villaggio in compagnia di un boscaiolo chiamato Vilja, Franz sente raccontare dalla gente strane storie a proposito del vicino castello del barone De Gortz e, come guidato dall’istinto, si convince che la sua amata sia prigioniera tra quelle mura... Il romanzo (1892) di Jules Verne, Il castello dei Carpazi, rivive sul grande schermo nell’omonima rivisitazione (1983) di Oldřich Lipský. Intriso nel profondo dell’immaginario dei gabinetti delle curiosità, questo “scherzo” della filmografia boema (tutt’ora inedito in Italia) irrompe con i suoi comici ruzzoloni, i suoi “giocattoli” (diversi sono, infatti, gli omaggi al fantasista Georges Méliès), alambicchi e siparietti in puro stile Biedermeier.
Lekce Faust (1994) di Jan Švankmajer concluderà il ciclo. Il regista boemo azzarda un grottesco ibrido fra Marlowe e Goethe, allestendo attorno ad un attore squattrinato, Faust “suo malgrado”, un teatrino di marionette che abbatte il confine tra atto drammatico e retroscena, verità e allucinazione. Una sottile malinconia attraversa l’operazione: il sospetto che oggigiorno non sia più possibile inscenare le gesta dello scienziato-alchimista. Più vicino forse all’Alice di Carroll, il viaggio del protagonista è ormai un fatto di fanciullesca, indolente curiosità a “gettare lo sguardo nelle tenebre” anziché di conoscenza e della sua brama. Cade il senso, rimane solo la certezza (e l’inutilità) della morte.

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