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Lo stigma sociale del Covid, quando essere positivi è motivo di vergogna In evidenza

Molte persone contagiate preferiscono non rendere pubblica la propria condizione, isolandosi e troncando per un periodo ogni relazione sociale.

In psicologia si definisce "stigma sociale". Si tratta di una sorta di "marchio negativo" associato alla condizione specifica di una persona, compresa una malattia. A ciò è conseguente l'atteggiamento di nascondere agli altri il proprio status.

È un fenomeno che investe soprattutto i piccoli centri: se un tempo riguardava principalmente i cittadini con disabilità, oggi si sta riproponendo con il Covid-19, soprattutto nei paesi meno popolati anche in Liguria.

In conseguenza di ciò, molte famiglie contagiate asintomatiche o paucisintomatiche preferiscono non rendere pubblica la propria condizione, isolandosi in casa. Troncano per un periodo ogni relazione sociale, evitano di contattare medici ed Asl, non si sottopongono ai tamponi. L'esito è la sottrazione alla contabilità ufficiale del numero dei contagiati.

"Sono atteggiamenti figli di vecchi stereotipi sociali, della diffidenza e della paura di ciò che non si conosce – spiega la psicologa Francesca Cartolano dell'organizzazione datoriale Unsic, che sta approfondendo il fenomeno – Stigma e vergogna costituiscono un binomio presente e studiato in molte epidemie ed oggi si ripresenta con il Covid-19. All'origine c'è anche un fattore che investe il mondo della comunicazione: l'adozione di un linguaggio non consono e colpevolizzante, caratterizzato da termini negativi (si pensi a 'untore', 'caso sospetto', 'infermo' o 'isolamento') e che finisce per perpetuare gli stereotipi esistenti. L'esito, in alcune circostanze, è la preoccupazione per la disumanizzazione del contagiato, per cui molte persone finiscono per isolarsi totalmente, evitando anche di farsi visitare da un medico".

Ovviamente non è facile quantizzare la portata del fenomeno, presente principalmente nel Mezzogiorno. Di certo anche questa tessera del mosaico, insieme ai tanti asintomatici e alle omesse comunicazione dei casi di positività da parte di laboratori privati (come accertato nei giorni scorsi dai Nas), tende ad abbassare il conteggio ufficiale dei contagiati, a cui andrebbero aggiunte qualche migliaio di unità.

"Se ne parla poco, ma esiste una corposa letteratura in materia – continua la dottoressa Cartolano – Ad esempio le indagini del professor Antonio Lasalvia dell'Università di Verona, che partendo dai confronti con le epidemie precedenti, si sofferma sul fenomeno associato al Covid-19 evidenziando tra i motivi dell'accentuazione, tra l'altro, la mancanza di informazioni certe sulla malattia. Oppure, a livello internazionale, gli studi di Sidney Levin e Leon Wurmser. Affrontare il tema è importante perché stigma e vergogna investono i diritti civili al pari di altre piaghe sociali ed ostacolano l'implementazione di corrette risposte di sanità pubblica".

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