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Storie di infermieri al tempo del Covid In evidenza

di Francesco Falli-  L’esperienza degli infermieri italiani al tempo del Covid 19, così come quella degli altri operatori sanitari, o dei soccorritori e dei volontari, è qualcosa che non potrà mai essere descritta interamente.


In questa breve raccolta di situazioni, si è scelto di sottolineare tanti casi diversi, con molti aspetti in comune ma anche con particolari distinguo; sono vicende di intensa vita professionale ma anche personale, dove troviamo anche due infermiere che raccontano il contagio direttamente vissuto, da pazienti.
Le storie sono tutte diverse e riguardano professionisti con diverse estrazioni: ad esempio, la storia di Irene G. è emblematica per la nota situazione che ha visto tanti neolaureati (infermieri, ma anche medici) uscire dalle Università per iniziare subito a lavorare: Irene ha discusso la tesi a fine marzo e due giorni dopo ha preso servizio in una degenza Covid, giusto il tempo di iscriversi all’Ordine professionale e firmare il contratto di lavoro (da ‘’precaria’’ in ASL 5) . A fine aprile, dopo un mese di servizio, i primi sintomi e lo stop: positiva al Covid 19, con una fastidiosa sintomatologia sul ritmo cardiaco che ha impiegato un po’ a tornare regolare. Per fortuna, non è stato necessario il ricovero, e oggi Irene ha concluso l’isolamento e , se va tutto bene, a metà giugno ritornerà al lavoro ‘’...non ho avuto paura, per me; ma all’inizio mi sono sentita investita di tanta responsabilità, e davvero l’ingresso nel mondo del lavoro è stato una sfida molto accesa, molto forte: per fortuna è stato un vantaggio lavorare dove mi ero formata, con colleghi e ambienti comunque conosciuti.’’

Quando è iniziato il devastante picco dei ricoveri, molte cose sono cambiate nella quotidianità di tanti infermieri assunti da tempo: prendiamo Marzia C., una infermiera con una lunga esperienza di sala operatoria, fuori Regione e poi al S. Andrea. Marzia ha fatto parte di quei tanti infermieri che sono stati costretti, per motivi di forza maggiore, a ‘’lasciare’’ temporaneamente il settore di abituale impiego per andare a rinforzare altri luoghi critici: Marzia è stata inviata dapprima alla tenda pre-triage, poi in rianimazione. All’inizio lei ha provato ‘’...ansia, e timore di non essere in grado di fare quello che è, in pratica, un lavoro diverso, che presuppone grandi competenze anche tecniche, mentre io ovviamente ho un altro tipo di esperienza professionale.

Per fortuna che con me hanno lavorato colleghi esperti, eccellenti, e mi hanno aiutata sul campo, con attenta professionalità. Alla fine di questa esperienza (Marzia è rientrata da poco in sala operatoria) mi porto dentro tante emozioni positive, come il superamento di una profonda paura iniziale, ed alcune vicende che hanno riguardato le persone che abbiamo assistito. Un amico di camminate, ricoverato a inizio epidemia, purtroppo non ce l’ha fatta; ma un altro che sembrava compromesso è riuscito a recuperare, e i suoi saluti alla dimissione sono stati una emozione speciale. Così come una signora rumena, che ho accolto io alla tenda del pre triage, al mio primo giorno di impiego ‘’nuovo’’; la stessa che poi ho ritrovato in medicina d’urgenza ed infine in rianimazione. Quando questa signora ha recuperato forze, energie e coscienza, ha legato con me: per qualche giorno io non l’ho seguita perché avevo un altro settore, nel reparto: e quando mi ha finalmente rivista ha pianto dall’emozione, ed io con lei!...questa vicenda mi ha dato molto sul piano emotivo e anche professionale: ho tenuto un diario e non la dimenticheremo mai, nessuno di noi.’’

Per restare alla rianimazione spezzina, Samantha D.M. è la coordinatrice del reparto, da anni: è stata naturalmente molto coinvolta nelle questione organizzative, ma questo non le ha impedito di avvertire un fortissimo impatto emotivo: ‘’...quando è iniziato tutto, e noi ed i nostri medici venivamo chiamati nelle varie degenze per i casi più gravi, cioè per prendere in carico le persone più compromesse sul piano polmonare, ho capito di essere finita davvero in una enorme emergenza, come quelle che, quando lavoravo al 118, ci facevano fare per esercitazione, immaginando un incendio su una nave al porto, o in una fabbrica: adesso era una situazione vera, e la nostra paura era di non riuscire ad arrivare in tempo dappertutto, o di non avere abbastanza posti letto (i posti letto delle due rianimazioni in ASL 5 sono più che raddoppiati nel corso di questa emergenza e, per fortuna, sono risultati adeguati alle necessità). Io, personalmente, ero provata dalla incertezza e dall’incognita di questa patologia ignota, dalla sua alta contagiosità, da come ha ridotto i polmoni dei malati più gravi: inoltre, la sola idea di poter contaminare i miei familiari mi ha molto scosso, e più per loro, che per me, ero molto attenta alle procedure di svestizione e di decontaminazione.’’ Samantha ha dovuto gestire l’arrivo di infermieri esperti di altri settori, e ha formulato una organizzazione in grado di ‘’miscelare’’ le competenze...’’ naturalmente è stato necessario comporre turni bilanciati, per poter sempre disporre di colleghi esperti vicino a colleghi che non avevano una esperienza diretta, o completa, del settore. Non è stato facile, soprattutto all’inizio, sostenere questa grande richiesta di prestazioni professionali in emergenza, ma la risposta di tutti è stata grande.’’

Luana C., infermiera di Oncologia a Spezia, è la prima infermiera che descrive il suo contagio: ‘’...a metà aprile io avvertivo una profonda stanchezza, che era, al mio risveglio, ancor più marcata del giorno precedente. Poi dopo tre, quattro giorni sono arrivati altri sintomi, febbre e tosse; alla fine un intero polmone in pratica non ‘’scambiava ‘’ più e sono stata ricoverata per cinque giorni a Sarzana, dove con antibioticoterapia e senza aiuto esterno ventilatorio mi sono rimessa in pista; è seguito naturalmente un periodo di isolamento, e così alla fine ho potuto riabbracciare i miei figli, dai quali mi ero prudentemente allontanata il 9 marzo, soltanto il 9 maggio! E’ stata una cosa davvero difficile: li ho seguiti, ho parlato con loro in videochiamata ma, quando sono stata ricoverata, è stata una giornata dura per tutti noi, e per loro in particolare. Finalmente, quando hanno potuto incontrarmi, la loro gioia, la mia emozione, sono state intensissime ed io non riuscirei mai a descriverle: posso solo dire che mi hanno abbracciato così forte da farmi cascare a terra, fra le risate, fra le lacrime, con la mia felicità. Ah, la mia diagnosi è giunta solo all’esame TAC, e senza dubbio alcuno, viste le condizioni del mio polmone: ma i miei tre tamponi sono risultati sempre negativi’’.

Monica F. coordina le cure domiciliari nello Spezzino per ASL 5 e ha vissuto il grande cambiamento dei primi giorni quando, alle solite problematiche quotidiane si sono aggiunte in un sol colpo la ‘’perdita’’ di alcuni infermieri, deviati sulle attività ospedaliere, ed il problema di limitare accessi nelle case dei pazienti al minimo indispensabile. Monica e i colleghi si sono organizzati, creando procedure per identificare le situazioni più urgenti, non rinviabili, e per poterle svolgere in assoluta sicurezza per tutti. Hanno introdotto istruzioni operative per limitare ogni spostamento anche dei familiari, informatizzando in emergenza tutto ciò che era possibile spostare sul piano ‘’virtuale’’, come l’invio di documentazione sanitaria, in tempi ‘’normali’’ ritirata nei vari distretti. Per Monica, la paura, l’ansia, la legittima angoscia iniziale sono state mano a mano rimpiazzate dalla consapevolezza di poter riuscire, dal fatto che il team si è dimostrato coeso e reattivo, positivo nel senso ‘’buono’’ del termine. Secondo Monica ‘’...noi infermieri siamo sempre in grado di trovare una soluzione, nelle criticità: lo facciamo da anni; abbiamo reagito a questo uragano, cercando al tempo stesso di fare il nostro con professionalità e in sicurezza. E siccome siamo infermieri, ci siamo riusciti, e questo lo dico con orgoglio, sottolineando l’impegno di tutti.’’

Alice V. lavora all’ambulatorio di malattie infettive di Sarzana e, durante tutta la fase più acuta dell’epidemia, ha lavorato anche nelle corsie Covid, proprio perché le attività ambulatoriali erano ovunque diminuite. Il problema per i suoi malati cronici, però, era di avvertire una sorta di ‘’rinvio’’ generale delle questioni importanti relative alle loro condizioni, e quindi quando si recavano nell’ambulatorio era necessario rassicurarli sul fatto che restava certamente la presa in carico, che restavano seguiti anche in piena emergenza. Naturalmente, i pazienti affetti già da anni da patologie croniche hanno vissuto questa situazione con un doppio timore: la paura del contagio, al quale si sentivano perfino più esposti, e la paura di non ricevere le solite attenzioni. Così, il lavoro di Alice ha riguardato anche questa forma di attenzione e cura, di rassicurazione: certamente molte procedure, per tutti abituali e standard, sono state cambiate ed i malati più fragili hanno avvertito la grande difficoltà del momento, condivisa con gli infermieri.

Sokol K. lavora come infermiere in una struttura privata del nostro territorio e ha chiesto di dare una mano in ospedale: un caso di volontario ‘’professionale’’, che si è messo a disposizione e che è stato inviato in Geriatria, dove è stato accolto con attenzione e dove, superate le ansie iniziali, ha svolto e svolge il suo lavoro di ‘’aiuto esperto’’, considerando che lavora con gli anziani anche nel suo ruolo professionale prevalente. ‘’...sono contento, all’inizio c’era l’ansia di riuscire a rispondere alle tante richieste, che arrivavano da tutti i ricoverati; ma poi pian piano ci siamo adattati alla situazione e siamo riusciti a trovare un ottimo equilibrio operativo. Ho imparato molto, momenti speciali da ricordare; ho cercato di tirare fuori il meglio da me, e da ogni situazione complessa’’.
Gian Marco M. è un infermiere spezzino che, come altri, ha vinto un concorso fuori Regione: da qualche anno lavora a Bologna, in una rianimazione centro di riferimento per gli interventi di cardiochirurgia. In una sola notte, su disposizione regionale, il suo reparto ha cambiato ‘’profilo’’ e ha iniziato ad accogliere malati con grandi difficoltà respiratorie, diventando una sorta di hub regionale per i casi più gravi, in particolare quelli provenienti da Piacenza. In poche ore, tanti accessi, molti ricoveri, la paura e anche il terrore di non riuscire a ‘’tenere botta’’ per l’aumento esponenziale delle richieste, dei malati intubati, delle patologie crescenti che hanno portato all’apertura di due rianimazioni aggiuntive, soluzione che ha permesso di reggere l’impatto. Gian Marco ricorda lucidamente e con chiara forza descrittiva che, prima di superare la zona filtro di accesso al reparto...’’tiravo un lunghissimo respiro, come per fare il pieno di aria ‘’pulita’’, poi indossavo le protezioni e, come un sommozzatore, superata la zona filtro, mi muovevo in un ambiente diverso...’’ in reparto si trovavano sempre molte persone in difficoltà, nei periodi più critici: ma moltissime fra loro sono riuscite a recuperare e grande è stata, sempre, la soddisfazione di vedere quanto è stato prezioso il lavoro di cura e assistenza, che ha concretamente permesso di superare la crisi a tanti degenti.
Queste sono solo una infinitesimale parte delle tante storie di donne e uomini presenti, in vari contesti, nei momenti più complicati del Covid 19. Professionisti che, come abbiamo visto, in non pochi casi si sono ammalati, hanno avuto la vita stravolta, si sono isolati; tutti hanno vissuto momenti unici. Per riprendere le parole di Marzia: ‘’...io ho tenuto, da subito, un diario: era ovvio che stavamo tutti vivendo qualcosa di straordinario, di epocale, ed ho voluto fermare ogni singola emozione...’’.

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