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Il Sex on the Beach e gli anni Ottanta In evidenza

Non si sa con esattezza quando è comparso per la prima volta il Sex On The Beach, ma ciò è avvenuto sicuramente dopo gli anni Settanta, visto che fino a quel momento nessun cocktail poteva contenere la parola sex, in quanto ritenuto sconveniente nei locali statunitensi.


Il Sex on the beach (foto tratta dal libro 77 Cocktain IBA)

Dapprima nacquero cocktail come il Fun on the beach e poi il Peach on the beach, quest’ultimo composto da 2 cl di Vodka, 2 cl di Midori, 2 cl di Chambord, succo di ananas e di mirtillo rosso, che avevano l’effetto di imbrunire enormemente il cocktail e donargli un gusto molto dolce. Il Peach on the beach non ebbe successo in Europa, vista la difficile reperibilità del Midori, e fu il Fun on the beach ad affermarsi decisamente nel vecchio continente. Il cocktail venne poi approvato dall’IBA e inserito nella lista dei cocktails popolari.

Negli anni Ottanta questi drink iniziarono a spopolare tra il pubblico.

L’angolo della curiosità è tratto dal libro:

I cocktail degli anni 80 (codifica IBA 1987-1993)

Il primo agosto del 1985 fa davvero caldo quando Michele Serra decide di partire da Ventimiglia a bordo di una Panda e girare il litorale italiano per arrivare a Trieste. Il viaggio dura un mese e ogni sera si fermerà per dettare un articolo al suo giornale, “l’Unità”, descrivendo luoghi, persone, abitudini, mediocrità e sfaceli (dell’epoca) dell’Italia balneare. L’autore proporrà un ritratto, desolante ed esilarante al tempo stesso, almeno di quella parte del Bel Paese bagnata dal mare. Dagli articoli raccontati ne esce un libro Tutti al mare, che ne rappresenta la cronaca fedele di quel viaggio: 30 articoli inseriti nel volume senza modificare una virgola né cambiare un aggettivo, proprio perché il tono “in presa diretta” arrivi intatto al lettore. Lo stesso autore non si aspettava, al termine della sua avventura, che i frammenti raccolti sulle spiagge riuscissero a restituire un’idea di Italia così efficace.

A Rimini, Serra ci parla del mito dell’epoca: Zanza, al secolo Maurizio Zanfanti, scomparso solo di recente a 63 anni. Era definito «il re dei vitelloni» o «il re dei playboy» riminesi. Il mito di Zanza comincia dagli anni Settanta, quando lavorava al Blow Up, locale riminese, e lì era nata la sua fama di latin lover. Nel look, nell’aspetto fisico, nei modi, «Zanza» incarnava alla perfezione il personaggio del conquistatore italiano così come se lo immaginavano le turiste straniere che arrivavano in Italia tra gli anni Settanta ed Ottanta.

Il suo abbigliamento si componeva da una camicia aperta sul petto, pantaloni in pelle, stivaletti, capello biondo e lungo. Ed aveva la fama di conquistatore di centinaia di turiste, soprattutto svedesi.  «Penso di aver fatto più promozione turistica io per Rimini di cento agenzie» si vantava nel 2015 in una intervista al Resto del Carlino. In quello stesso colloquio (e in altri) sciorinava con la precisione di un contabile le cifre della sua instancabile ars amatoria: una media di 150-170 conquiste a stagione, una punta massima di 207.

Raccontava di aver inaugurato la sua attività a 17 anni, in coincidenza con l’inizio del suo lavoro come «buttadentro» nei locali notturni della Romagna. In inverno poi trascorreva gran parte del suo tempo a spostarsi nel nord Europa, facendo visita anche ai numerosi fans club sorti. La sua parabola è tutt’uno con il boom del «divertimentificio» di Rimini, con l’infinita catena di conquiste tra la spiaggia e le discoteche.

Su «Zanza» nel corso degli anni sono fiorite decine di leggende, come narra un articolo di Claudio Del Frate sul Corriere della Sera; ad esempio quella di un riminese che va in Svezia per inseguire una donna di cui si era invaghito e sul comodino di quest’ultima ci trova la foto del playboy italiano. Millanteria o meno, veri anzi verissimi sono altri fatti: ad esempio l’intervista a doppia pagina che negli anni Ottanta gli dedica il giornale tedesco Bild incoronandolo a livello internazionale come sex symbol maschile e popolare. «Le donne vengono a Rimini per un motivo solo, sempre quello…» dichiarava sornione e sottolineando volutamente il doppiosenso; ma a chi gli chiedeva quale fosse la sua arma prediletta per far cadere le turiste ai suoi piedi rivelava: «La gentilezza. Devi sempre aver un pensiero per ognuna».

Ma qual era il segreto di Zanza? Davvero era una questione solo di gentilezza? Il segreto ci venne rivelato personalmente, o meglio all’amico Carmine, che un giorno trovandosi a lavorare a contatto con la sorella di Zanza, gli chiese come facesse suo fratello a fare tutte queste conquiste. “Semplice”, rispose lei: “Ha imparato come prima lingua lo svedese!”. Ed in effetti se pensiamo agli italiani che si recavano al Blow Up alla caccia di fanciulle nordiche, all’inglese spesso stentato o approssimativo, un Zanza che parla in perfetto svedese, rappresentava davvero una potenziale arma da guerra.

Ma Rimini era divertimento a 360 gradi. Spostandoci solo di qualche chilometro, nel 1987 sorse il complesso dell’Aquafan (rigorosamente senza la C).  Aquafan è uno dei primi parchi acquatici costruiti in Italia e si trova a pochi metri dal casello autostradale. Pur non essendo una novità in Italia, la struttura è stata probabilmente la prima a riscuotere grande successo. Questo si deve essenzialmente all’ottima scelta del bacino di utenza ed anche all’iniziale pubblicità indiretta che ottenne il parco ospitando, sul finire degli anni Ottanta, trasmissioni televisive popolari, oltre ad una partnership fissa con Radio Deejay, che portava i suoi personaggi più famosi (da Albertino a Fiorello) a trasmettere dall’interno del parco.

Tra le attrazioni che, col passare del tempo, si sono aggiunte all’offerta originaria, divenendo, al contempo, simboli stessi del parco, si possono citare il Kamikaze, uno scivolo a due piste lunghe 90 metri in grande pendenza in cui la discesa raggiunge l’adrenalinica velocità di 70 km/h, l’Extreme river, una rampa a sezione paraboidale (Half Pipe) sulla quale si scivola in moto armonico fino a perdere quota e lo Speedriul, una struttura a forma di imbuto che “inghiotte” gli ospiti dopo un moto vorticoso. Questo è altamente sconsigliato a chi soffre di claustrofobia. L’Aquafan di Riccione mi ha dato il piacere di conoscere in una sola serata Beppe Fiorello e Marco Baldini (all’epoca, a metà degli anni Novanta, conducevano il programma Baldini Ama Laurenti).

E mentre c’era chi ballava anche di sera tra gli scivoli, nella sola Rimini si contavano molti locali da ballo, il cui elenco è stato raccolto da seidiriminise.it:

  • L’Altro Mondo Studios
  • La Locanda del Lupo
  • Embassy
  • Quinta dimensione
  • Zeta Club
  • Papiò (Coriano)
  • Babalù
  • Odeon (Santarcangelo di Romagna)
  • Club Italia (San Vito)
  • Jolly (Novafeltria)
  • Paradiso
  • Barcelona Disco
  • Blow up
  • Bahamas
  • Carnaby Club
  • Life
  • Baia degli Angeli
  • Play Boy
  • Confidential
  • Cellophane
  • Sala Romagna Mia (Montescudo)
  • La Vigna (Coriano)
  • Bobadilla (Morciano)
  • OK Club
  • Melody Mecca
  • Geo (San Mauro)
  • Inferno
  • Bandiera Gialla
  • Sahara
  • Rock Café
  • Ku (Coriano)
  • La Vigna (Coriano)
  • Ca del Liscio
  • Tre Stelle
  • Divina
  • Villa dei Pini (Viserba)
  • Lady Godiva
  • Passepartout
  • Meeting
  • IO
  • Tiffany
  • Samantha (Ex Bounty)
  • Slego
  • Chic
  • VIP
  • Charlie Brown (Torre Pedrera)
  • Oriental Park
  • La Capannina (San Giuliano)
  • Mirage
  • New York (Miramare)
  • Scacco Matto (Ex Velvet)
  • Sirenetta (Viserba)
  • Shampoo (Torre Pedrera)
  • Gallery (Bellaria)

Queste solo a Rimini, senza considerare la vicina Riccione e tutte le altre. Ovviamente sarebbe impossibile parlare di tutte, ci soffermeremo solo su due alle quali sono particolarmente affezionato. La prima è il Cellophane (che nel tempo ha cambiato vari nomi: Altavista, Verdeluna, Pesce Azzurro). Tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta fu uno dei punti cardine della musica hardcore, psytrance, trance-progressive, techno, dream progressive (se avere poco più di 20 anni e questi nomi non vi dicono nulla, non vi preoccupate). Era considerata per tipo di musica ed utilizzo di luci (in realtà una solo stroboscopica, il resto era buio) come il Cocoricò.

La musica progressive, la si ascoltava nella sala grande e l’house nel privè. Nel tempo anche il Cellophane si aprì alla musica commerciale. Accolse tra i migliori dj d’Italia, che si alternavano per suonare una musica elettronica, dove le tastiere erano accompagnate dai suoni più svariati, alti, bassi, acuti e non mancavano i rumori di fondo. L’unico difetto, come gran parte delle discoteche di tutto il mondo, era il brulicare di spacciatori. Per la prima volta vidi gli effetti della droga dello stupro su di una ragazza che era venuta a ballare con noi. Senza accorgersene, un estraneo le aveva versato della sostanza nel bicchiere. Una sua amica era venuta a chiamarci preoccupata l’abbiamo poi trascinata a forza fuori dalla discoteca e soprattutto dalle grinfie del personaggio.

Il Cellophane era posizionato vicino al mare, e facilmente raggiungibile con autobus e taxi, per questo molto frequentato soprattutto dai giovani, ma vide il suo declino dagli anni 2000. Qui iniziò a cambiare nome: diventò prima Altavista (nome di un celebre motore di ricerca) e poi Verdeluna, ma non riuscì più a imporsi nel panorama dei locali notturni romagnoli.

Da Rimini iniziò pian piano la crociata contro la “musica del diavolo”, per combattere le stragi del sabato sera e convertire il comportamento notturno e la capitale dei templi da ballo pian piano si ripropose per il divertimento moderato.

L’hotel dove lavoravo (al tempo si chiamava Terminal, un tre stelle, oggi è quattro stelle ed una SPA, ed ha cambiato anche proprietario) si trovava proprio accanto al Cellophane. Da marzo a maggio vi era l’afflusso delle gite scolastiche da tutta Italia. I prof venivano da noi camerieri e chiederci quali fossero i locali più adatti a tenere sotto controllo i ragazzi. Piccole discoteche quindi. Cellophane era escluso anche perché non era aperto tutte le sere. Però vi era il Carnaby club. Il nome della discoteca deriva dal nome di un famosissimo viale dell’Inghilterra (Carnaby street appunto) dove erano distribuiti un grandissimo numero di negozi di alta moda, dove persone di ogni età si lanciavano alla ricerca del capo più trendy.

Il Carnaby nacque negli anni Sessanta e solitamente solo il piano inferiore era usato come discoteca, nel mezzo c’era il pub dove si poteva gustare una squisitissima birra importata appositamente dall’Inghilterra per favorire l’ingresso di una clientela inglese, al piano superiore invece si trovava il ristorante. Negli anni Settanta fu ristrutturato completamente e tra i vari aggiornamenti del locale si decise di trasformare tutti e tre i piani in sale discoteca. Le tre sale avevano tre stili diversi: al primo piano Hip-Hop, al secondo musica commerciale e House, mentre al terzo piano il genere di musica varia molto, lo stile è simile ad un pub, la pista è più piccola e attorno ci sono molti più tavolini con divanetti.

Ovviamente poi andavamo a ballare anche noi, camerieri, alla fine della giornata. E gratis considerata la collaborazione con quelli che all’epoca si chiamavano PR.

Luigi Manzo

Scarica la demo del libro: cocktail-2cod-promo

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