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Donne, Furlan (Cisl): Mamme lavoratrici ancora penalizzate. Una su tre lascia il lavoro dopo il primo figlio In evidenza

'La "festa della mamma" che si celebra oggi deve diventare l'occasione per riflettere sui ritardi culturali del nostro paese e sulla sottovalutazione del ruolo della donna madre nella società e nel mondo del lavoro".

E' quanto sottolinea oggi in un editoriale pubblicato in prima pagina su L'Unita' la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan.

"Nonostante tante battaglie civili e sindacali, la maternità viene vista ancora come un ostacolo all'ingresso ed alla progressione di carriera.

Non e' un caso se in fatto di natalità il nostro Paese e' tra gli ultimi posti in Europa: nel 2015 sono nati soltanto 488 mila bambini, 15 mila in meno rispetto al 2014.

Una donna su 3 lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Sono ancora poche le madri con un bambino che lavorano rispetto al resto dell'Europa (57,8 per cento contro 63,4 per cento) e, soprattutto, se paragonate agli uomini (86 per cento).

Quando poi i bambini crescono i numeri crollano al 35,5 per cento (la media Ue è del 45,6 per cento). In molti casi la rinuncia alla maternità va collegata direttamente anche all'inadeguatezza di servizi a sostegno della genitorialità. In Italia solo il 18% dei bambini trova posto negli asili nido pubblici, mancano politiche finalizzate alla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.

Le regioni del nord mostrano in generale condizioni più favorevoli alla maternità, mentre il Mezzogiorno non offre quei servizi sociali indispensabili per garantire le giuste tutele alle donne lavoratrici, come avviene in altri paesi europei che sono molto più avanti di noi nella conciliazione tra casa, famiglia e vita professionale".


Per la leader Cisl "la strada verso la parità dei sessi in campo lavorativo è , dunque, ancora molto lunga da percorrere anche se sempre più donne si trovano a ricoprire ruoli una volta appannaggio del solo sesso maschile. Dobbiamo fare di più con la contrattazione, nazionale, aziendale e nei territori, ponendo le condizioni per una valorizzazione ed una specificità del lavoro femminile.

Anche le norme attuali sulle pensioni vanno cambiate urgentemente perche' costituiscono una grave penalizzazione per le donne, che in moltissime attivita' non possono rimanere al lavoro fino a 65-67 anni ed occuparsi anche della propria famiglia.

Occorre unire politiche del lavoro, di sostegno familiare e di conciliazione tra cura della famiglia e lavoro".

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